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Italiani al Polo Sud: l’intervista ai ricercatori della base Concordia

Lunedì, 10 Ottobre 2016 08:57

Durante la Notte Europea dei Ricercatori, Radio Libera Tutti, in diretta dal Centro di Ricerca Enea di Frascati, si è collegata via Skype con la base Concordia in Antartide, dove cinque italiani ci hanno spiegato com’è lavorare per la ricerca in un posto così desolato.

Concordia è una base di ricerca permanente che si trova in Antartide a 3mila metri sul livello del mare. Costruita nel 1993 dall’Enea (Ente per le Nuove tecnologie, l'Energia e l'Ambiente) e l'Istituto polare francese Paul Émile Victor, la base ospita ricercatori di varie nazionalità per portare avanti attività di studio e di ricerca ambientale.

Con temperature medie di -70°, i ricercatori italiani si dedicano allo studio della glaciologia che ha permesso, attraverso la trivellazione della calotta polare, di conoscere le variazioni climatiche degli ultimi 800mila anni; dell’astronomia, con la scoperta nel 2010 di micro-meteoriti dell’ampiezza di un decimo di millimetro di diametro; della biologia umana, perché l’isolamento di alcune persone all’interno di una base del genere permette lo studio di nuove metodologie di sopravvivenza utili ai viaggi spaziali; infine, della climatologia.

“Durante l’inverno non si può restare per più di un’ora all’esterno della struttura”, ci ha detto uno dei ricercatori intervistati, “Anche un’azione semplice come avvitare un bullone diventa complicata”. Gli ultimi rifornimenti di frutta e verdura sono arrivati alla stazione a giugno: da lì in poi solo cibo in scatola (congelato, naturalmente).

“I momenti di svago permettono di fare fotografie, pitturare e vedere film”, continua un altro ricercatore italiano, “Abbiamo una palestra e d’estate possiamo fare addirittura delle passeggiate con la bicicletta sulla neve. Il problema è che è difficile respirare perché l’aria è molto rarefatta”. I globuli rossi dei ragazzi che lavorano in questa base hanno un diametro maggiore di quelli normali perché devono cercare di veicolare più ossigeno possibile nel sangue.

"Il fatto di stare qui ci rende molto orgogliosi di essere italiani", conclude un ricercatore, "perché non siamo fanfaroni e qui c'è l'eccellenza: non dobbiamo invidiare nulla a nessuno".

di Maurizio Costa