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CLIMAX, la recensione del fim di Gaspar Noé

Mercoledì, 12 Giugno 2019 19:07

 

Climax si apre con una ripresa zenitale su un paesaggio innevato in cui vediamo improvvisamente comparire, barcollante e insanguinato, uno dei personaggi del film. Nero nel bianco del totale . Titoli di coda. Il film inizia dove finisce. La vicenda, si viene avvertiti, è tratto da una storua vera.

La sequenza successiva è a camera fissa. Nello schermo di un televisore gli attori ballerini si raccontano, parlano delle loro esperienze, delle emozioni che provano, scherzano rispondendo al coreagrafo regista che li intervista fuori campo. La danza e la musica sono in primo piano e lo rimarranno per tutto il film.
A incorniciare lo schermo sono disposti vecchi vhs e dvd. Nosferatu di Murnau, Fritz Lang, La legge del più forte di Fassbinder, La mamain et la putain di Jean Eustache, Suspiria. E’ un po’ come se il cinema, dall’espressionismo tedesco alla nouvelle vague , al nuovo cinema tedesco degli anni ’70 passando per il giallo italiano, fosse rappresentato e al tempo stesso estromesso. Lasciato fuori campo, cosi’ come fuori campo viene a trovarsi il regista.

E in effetti durante tutto il film la messa in scena è minimale. Unità di tempo e di luogo, ripresa a camera fissa, lunghi piani sequenza, scenografia ridotta all’ambiente della scuola in cui è stato girato il film, solo verdi cupi e rossi a colorare l’immagine. 
Dei film a cornice forse solo Suspiria, Jean Eustache e Fassbinder entreranno nello schermo. Suspiria per la vicenda, lo huis clos claustrofobico, il contrappunto di danza e horror , anche se Noé , cosi’ come Guadagnino a sua volta, risolve lo stile visivo all’ opposto rispetto alla drammaturgia del colore e del décor di Dario Argento. Da Fassbinder invece sembrano provenire la violenza , la prevaricazione nei rapporti umani, il colore e l’ambiente del fim, mentre  le glosse che interpuntano e commentano la vicenda ricordano l’uso che ne facevano gli autori della nouvelle vague.
Climax è spezzato in tre parti. La prima mostra lo spettacolo di danza sul dj set di Kiddy Smile.
Daft Punk, Aphex Twin, M/A/R/R/S, ma anche, rimixati, Cerrone, Giorgio Moroder, Gary Numan Soft Cell. Siamo in pieni anni ’90. La musica rimane sempre in primo piano in Climax. La coreografia, i movimenti degli attori , la regia e l’intero dipanarsi della vicenda la assecondano, ne seguono ritmi e toni.
La sceneggiatura stessa sta tutta fra musica e corpo, pulsare delle vibrazioni e danza. La regia si assottiglia e si riduce proprio per solo mostrare i sincroni e gli asincroni di danza e musica in un unico piano sequenza, a camera fissa sul punto di vista dello spettatore e con leggeri arretramenti e innalzamenti . Fa pensare all’anti videoclip girato da Jean Pierre Mocky per il primo successo dei Daft Punk, All Around The World , negli anni ’90 appunto ( dove la scelta paradossale era quella di girare senza montaggio, l’esatto contrario del parossismo visivo della videomusoca di allora). La prima parte finisce con i nomi coloratissimi dei performers e dei pezzi musicali sentiti che appaiono ritmicamente sullo schermo.
I ballerini hanno finito la prova generale. Sono in procinto di partire per una turné negli Stati Uniti. Si rilassano. Bevono sangria, scherzano, flirtano tra loro . La camera comicia ora a danzare, a sostituire la coreografia, ma in un unico semplice fluire del piano sequenza che segue i personaggi.
Musica e atmosfera diventano clubbing, ma è solo il preludio al rovesciamento horror della terza parte. Di nuovo è il mutare e l’incalzare della musica ad annunciarlo. Titoli di apertura.
I discorsi dei personaggi cominciano a diventare paranoici, i movimenti dei ballerini bruschi, violenti, disarticolati, a seguire le distonie musicali che cominciano a comparire, fino a rompersi nell’epilogo di caos e orrore. Qualcuno ha messo dell’Lsd nella sangria. Cercando di scoprire il colpevole, ogni rapporto si traforma nel suo opposto, in un delirio distruttivo e autodistruttivo.
Il rovesciamento del climax in anticlimax viene reso da Noé attraverso il ribaltamento della camera da presa, volutamente sgradevole e forse eccessivo, l’unico momento in cui la regia diventa manifestamente visibile, insieme al primo piano nello scioglimento finale , in cui il volto dell”artefice del rovesciamento, viene deformato dall’inquadratura fino a sciogliersi in lacrime e a dissolversi nel bianco della prima sequenza. Titolo iniziale.

Marco Minutillo

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