Nato in zona Villa Gordiani e poi vissuto a Pietralata negli anni ’60 e successivamente in altre zone popolari della Capitale, Massimo Sgrulletti ci parla di una visione illuminata e non scontata della fotografia, forma d’arte spesso collocata dall’immaginario collettivo in una dimensione patinata e meno intimistica rispetto ad altre forme d’arte. Estimatore di Franco Fontana, Sgrulletti fa suo il concetto secondo il quale: “Se fotografi quello che vedono tutti, forse non hai fotografato di fatto nulla. Raccontare le storie con la fotografia significa soprattutto interpretare quelle storie”.
Una visione interiorizzata della fotografia, passione che Massimo ha posseduto sin da piccolo:
"Il desiderio di fotografare c’è stato fin da ragazzo, quando usavo macchine meno sofisticate di quelle odierne, analogiche, che poi facevo sviluppare dallo stampatore - un vero terno al lotto! - non sapendo come fossero venute, ma purtroppo non ho avuto la possibilità di possedere una mia camera oscura. Poi sono passato alle riprese video, ma comunque la fotografia tornava sempre come la mia principale passione. Conobbi poi un fotografo di reportage molto importante, Alex Mazzenga, che mi riportò alla missione che per me ha sempre avuto la fotografia, raccontare in presa diretta alle persone le storie. Ho fatto molti corsi di fotografia e di post-produzione che mi hanno completamente formato e indirizzato anche verso concorsi che poi - in parte - ho anche vinto. Avrei forse potuto sviluppare questa mia passione più approfonditamente e prima, ma spesso la vita non te lo consente. Come passione è esistita sempre, anche se devo ammettere che oggi la svolgo con maggiore impegno e professionalmente. Questo lo devo soprattutto a mia moglie Tiziana che mi ha sempre spronato a fare meglio e a impegnarmi con costanza, alimentando la mia grinta. Ed è così che sono arrivato a collaborare con molte associazioni prestigiose sul territorio di Roma, anche uscendo dal sesto municipio che è sempre stato il mio riferimento. Mi impegno inoltre nei lavori in studio e nelle cerimonie, rimanendo però legato specialmente a un concetto più artistico della fotografia, il cui scopo principale deve essere quella di trasmettere emozioni e comunicare qualcosa che resti”.
Quando si parla della fotografia con questa intonazione di amore puro, riuscire a calarla nella società è senza dubbio il passo successivo e necessario:
“Ho sempre pensato che la fotografia fosse uno strumento di aggregazione tra persone e mezzo di contaminazione con altre forme d’arte; per questo la mia prima mossa è stata quella di formare un gruppo di fotografi che poi si è allargato - gli Amici per la Fotografia - che raccoglie a ora 50 persone e con cui si organizzano uscite fotografiche, mostre e contest. La contaminazione caratterizza questo gruppo: la fotografia si sposa bene soprattutto con la scrittura, la pittura e la scultura: siamo arrivati anche a esporre alla Casa della Cultura e all’Università di Tor Vergata. Questo gruppo di fotografia è entrato poi nell’associazione culturale Bella Vera quando ne sono diventato il presidente. Le fondatrici dell’associazione hanno da sempre apprezzato molto il mio lavoro, soprattutto quello svolto negli anni del Covid, in cui non ho mai smesso di portare avanti iniziative, pur nelle restrizioni e nelle difficoltà in cui la pandemia ci ha spinti. Pur divenendo il presidente dell’associazione, non ho voluto mai disgregare il gruppo Amici per la Fotografia che è restato un corpo autonomo senza comunque far diventare l’associazione culturale un’associazione di sola fotografia, anzi preservandone il pregio dell’apertura e della pluralità di orme espressive ad ampio respiro”.
L’associazione Bella Vera - che deve il suo nome alla localizzazione, il sesto municipio - è nata infatti per raccontare Tor Bella Monaca nella sua parte migliore, non solo negli aspetti ombra che terminano sempre sulle cronache dei giornali. Massimo Sgrulletti ha contribuito a sollevare da una sorta di disagio sociale i più giovani che sono spesso i più a rischio nelle periferie, permettendo loro di avvicinarsi in modo inedito e divertente alla fotografia:
“Ciò che mi rende più orgoglioso sono i workshop di fotografia che mi hanno permesso di entrare in contatto con realtà notevoli del territorio come le scuole, con le quali sono stato felice di organizzare alcuni corsi. È stato interessante spiegare ai ragazzi come è giusto fotografare anche soltanto con le fotocamere dei loro cellulari, all’insegna della diffusione di una giusta cultura dell’immagine. Inizialmente c’è sempre stata un po’ di diffidenza da parte loro verso esperienze del genere, abituati a usare il cellulare per i selfie e a non dare peso magari a quanto senso possa esserci all’interno di un più corretto modo di inquadrare un soggetto. Alla fine del percorso insieme però, ne sono usciti entusiasti, permettendomi anche di organizzare mostre nelle periferie, ogni volta motivo d’orgoglio per me, per gli studenti e per l’intero corpo docente”.
Sempre per un uso sociale della sua arte, Massimo Sgrulletti ci regala un’ultima perla della sua esperienza personale oltre che creativa, la conduzione di gruppi di fotografia per persone ipovedenti di cui ancora conserva i foto reportage:
“È stata una bella soddisfazione trasmettere loro la mia passione e per i membri di questo fantastico gruppo - con cui sono rimasto in contatto - credo che sia indelebile la nostra mostra dal titolo “Toccami con lo sguardo” organizzata presso l’associazione La Traccia a Roma nel quartiere Centocelle, che ha riscosso l’interesse di ben 500 visitatori. In esposizione, oltre alle fotografie, anche le opere di otto scultori non vedenti e i quadri del pittore Marco Ferrari, divenuto poi un’artista di fama internazionale”.
Di Beatrice Fiaschi