Il 23 giugno scorso il Regno Unito ha scelto. Con uno scarto di appena due punti percentuali, 49% contro il 51%, il fronte dell’uscita dall’Unione Europea ha prevalso. Ed ora? Quali sono le conseguenze di questa decisione?
Gli effetti sono molteplici, su diversi piani e da più punti di vista.
Effetti sulla politica
Il primo ed immediato effetto è stato senz’altro politico, con la sostituzione del Primo Ministro: da David Cameron a Theresa May. La nuova premier britannica, inizialmente dichiaratasi a favore del “Remain”, è stata molto chiara: “Brexit means Brexit”. Se questo è il volere popolare, ciò sarà fatto. Il nuovo capo di Gabinetto ha incontrato i primi problemi in Parlamento: negli ultimi giorni si è a lungo discusso sulla necessità di una votazione in Camera dei Comuni (la Camera Bassa) sui termini dell’uscita. Ma anche su questo May è stata categorica: non ci sarà né un secondo referendum, né una discussione in aula, concetti ribaditi anche al Congresso Nazionale del Partito Conservatore tenutosi a Birmingham durante la prima settimana di ottobre. Tuttavia, per una migliore riuscita del processo Brexit, Boris Johnson, David Davies e Liam Fox sono stati appositamente selezionati quali ministri preposti ai negoziati in vista della futura uscita dall’Ue.
Le conseguenze politiche interne non finiscono qui: il Regno Unito rischia lo sgretolamento. L’Irlanda del Nord vaglia un possibile ingresso nella Repubblica Irlandese, mentre la premier scozzese Nichola Sturgeon il 20 ottobre ha annunciato che entro poche settimane il governo di Edimburgo porterà alla consultazione parlamentare un nuovo quesito referendario per l’Indipendenza, quesito che sarà sottoposto agli elettori prima della definitiva uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La Scozia, per ragioni commerciali prima di tutto, è propensa a rimanere in Europa.
Effetti sulla politica estera
Gli effetti negativi in politica estera si fanno già sentire: i rapporti con i governi del resto d’Europa e con le istituzioni europee in particolare si fanno più tesi. Il 21 ottobre May ha preso parte al suo primo Consiglio Europeo come primo ministro: ha formalmente dichiarato di non poter accettare decisioni prese dagli altri 27 membri Ue senza una sua regolare partecipazione e consultazione. Affermazione, questa, che ha lasciato Donald Tusk (presidente del Consiglio Europeo) e gli altri membri indecisi sul da farsi: non solo il Regno Unito vuole uscire, ma vuole farlo alle proprie condizioni.
Effetti sull’economia
Più problematiche ancora risultano le conseguenze economiche. Il primo quesito che si pone è: la Gran Bretagna può o meno rimanere nel Mercato Unico? Non essendo un membro dell’Eurozona la fine della sua partecipazione sembra essere abbastanza agevole, ma il governo britannico non sembra incline a rinunciare ai benefici commerciali del mercato europeo.
Sin da giugno la sterlina ha iniziato un trend negativo, registrando il minimo storico ad inizio ottobre: il mercato del lavoro non è più accattivante come prima e calano gli investimenti bancari ed imprenditoriali. Il 20 ottobre il cambio Euro/Sterlina si è attestato a 1,12€. Un appello ai consumatori: chi intende acquistare prodotti “made in UK” o concedersi una vacanza, colga l’occasione, questo è il momento giusto per farlo.
Nel post Brexit, molte imprese hanno subito contraccolpi in negativo. Ad esempio, prima del Referendum i ricavi in sterline di Ryanair, la compagnia Low Cost irlandese, costituivano il 26% dei ricavi totali dell’azienda: questa ha visto ridurre la previsione sull’utile del 5% per l’intero esercizio fiscale in chiusura il 31 marzo 2017, a causa del deprezzamento del 18% della moneta britannica.
Valore della sterlina dopo il risultato del referendum
Effetti sulla popolazione
Non mancano nemmeno le conseguenze sociali: il paese è profondamente diviso. A favore dell’uscita dall’Unione si sono pronunciate le fasce d’età più avanzate, gli abitanti delle campagne e i “britannici puri”, coloro cioè che soffrivano maggiormente delle conseguenze dell’immigrazione. La popolazione delle metropoli, soprattutto i londinesi, i giovani e le seconde generazioni di immigrati reclamano una scelta in cui non si riconoscono. Le vecchie generazioni hanno deciso per le nuove, portandole verso un futuro indesiderato.
Fin qui, gli esiti sembrano tutt’altro che positivi, ma la risoluzione della questione è ancora lontana. Il governo britannico seguirà la procedura prevista dall’articolo 50 del Trattato di Maastricht? Questa dovrebbe concludersi entro la fine del prossimo marzo. Sia dentro che fuori dalla Gran Bretagna si discute se si tratterà di una Brexit “dura (hard)” o “morbida (soft)”: il Regno Unito intende proteggere “il proprio mercato, la propria sovranità, la propria sicurezza, i propri interessi” dice Theresa May. Ci riuscirà o sarà costretto a cedere su qualche fronte?
Carolina Teresi