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Diga del Vajont : a 50 anni dalla tragedia la storia non si dimentica

Giovedì, 10 Ottobre 2013 20:24

Sono passati cinquant'anni da quel fatidico 9 ottobre 1963. Per non dimenticare mai gli eventi che hanno fatto la storia italiana, dedichiamo questo articolo alla memoria di chi quella notte non ce l'ha fatta e di chi è riuscito a ricostruire la sua vita anche con il vuoto dentro che solo tragedie di questo tipo sanno creare.

"Toc" in friulano significa "guasto" e "Vajont" in dialetto ertano significa "va giù". E questo già avrebbe dovuto suscitare dei dubbi in chi, già nel 1940, aveva pensato di costruire una diga alta 200 metri e un serbatoio che avrebbe potuto contenere 50 milioni di metri cubi d'acqua proprio lì, nella valle in cui nasce il torrente che le dà il nome, al confine tra il Friuli e il Veneto: la valle del Vajont. Progetto ideato dalla Società Adriatica di Elettricità (Sade), i lavori per il cosidetto "Grande Vajont" cominciarono dopo la seconda guerra mondiale con qualche modifica: la diga ora doveva essere alta ben 266 metri e il serbatoio doveva contenere fino a 150 milioni di metri cubi d'acqua. A parte i grandi numeri, la cosa che stupisce tutt'ora della costruzione della diga è la grande velocità con cui fu ultimata: il cantiere fu aperto nel 1956 e i lavori terminarono nel 1959. All'epoca, era la diga più alta del mondo. 

Ma gli interessi della Sade e la mano spavalda dell'uomo che quasi mai riconosce i propri limiti, non avevano ancora fatto i conti con la furia di madre Natura. In questo caso, non avevano fatto i conti con il monte che costeggia la diga, il monte Toc, noto per la sua franosità e per il suo terreno poco adatto alle grandi costruzioni. Nel 1959, in effetti, il monte cominciò a dare i primi segni di cedimento: una frana di circa 3 milioni di metri cubi di roccia cadde nel bacino della diga di Pontesei lì vicino, provocando un'onda anomala che uccise il sorvegliante della diga. L'anno dopo il Toc continuò a franare, ma nessuno fece nulla per proteggere gli abitanti dei paesi sottostanti: Erto, Casso, Longarone e tanti altri.

 


Il 9 ottobre 1963 alle ore 22.39 il monte non ce la fa più: 260 milioni di metri cubi di roccia e terra precipitarono sul lago artificiale, sollevando 50 milioni di metri cubi d'acqua che colpirono prima Erto, poi Casso e poi, scavalcando la diga, altri paesi, tra cui Longarone. Di colpo, 1910 persone persero la vita e i pochi superstiti persero tutto. Il giorno dopo lo scenario è lunare: interi paesi rasi al suolo, le poche costruzioni rimaste in piedi danneggiate, i pochi sopravvissuti cercano i loro amici e parenti. Persone completamente sradicate che, di punto in bianco, non hanno più né una casa né una famiglia.

Il processo iniziò nel 1968 e si concluse nel 1971 con la condanna a pochi anni di reclusione per Alberico Nino Biadene (responsabile del progetto dopo la morte della vera anima della diga, Carlo Semenza) e per Francesco Sensidoni (Responsabile del ministero dei lavori pubblici della sezione dighe e membro della commissione di collaudo della diga) per "inondazione aggravata dalla previsione degli eventi, compresa la frana e gli omicidi". Nel 2000 Enel, Montedison (i successori della Sade) e lo stato Italiano dovettero risarcire i paesi colpiti dal disastro. Ben 37 anni dopo. 

Negli anni, sono nate due correnti di pensiero differenti. C'è chi dice che la tragedia non si sarebbe potuta evitare perchè non si sa quando la Natura decide di colpire. E c'è chi dice che si sarebbe potuta evitare benissimo, se solo per una volta l'uomo avesse evitato di cedere all'ingordigia. Se solo avesse evitato di giocare con le vite di altri uomini, donne e bambini in nome del dio denaro. Io, tra le due posizioni, scelgo la seconda. Pensate a quello che fate voi tutte le sere alle 22.39: sicuramente queste persone stavano dormendo, oppure erano impegnate ancora in qualche faccenda domestica, oppure erano immersi in qualche loro pensiero, in qualche altra preoccupazione, oppure guardavano Real Madrid-Glasgow. E invece l'attimo prima esistevano, mentre l'attimo dopo non esistevano già più. In nome di chi nella diga (che, tengo a precisare, è rimasta intatta) aveva visto il modo di soddisfare i propri interessi, fregandosene dei veri proprietari di quella terra e di quell'acqua, gente comune come noi. Gente che neanche dopo cinquant'anni ha ottenuto giustizia.
Oggi ricordiamo la tragedia di quel 9 ottobre. Facciamolo pensando a chi è stato veramente colpevole e a chi, innocente, non ha potuto fare nulla per salvarsi.