Quando qualche tempo fa, dopo una recensione negativa ad un film pure di successo, un lettore mi chiedeva cosa mi aspettassi e cercassi in una commedia italiana risposi già; ora ho da portare un esempio concreto per un film comunque non di nicchia. Con pur alcuni limiti, “Ho ucciso Napoleone” cambia marcia e registro rispetto alle trite e ritrite commedie italiane degli ultimi anni. La Farina ci propone finalmente qualcosa di diverso e sceglie per protagonista del suo secondo lungometraggio una sorprendente Micaela Ramazzotti, riuscendo, credo, a tirar fuori il meglio dall’attrice.
La Ramazzotti interpreta Anita, una single rampante, cinica, scorretta e soprattutto anaffettiva. Evviva! Finalmente una donna controcorrente rispetto alle protagoniste tutte uguali del nostro panorama.
La cosa bella è che lei è così non solo per risposta all’ambiente maschilista che le ruota intorno, ma per sua natura. Non è la donna italiana di tanti film che fa a sportellate e poi la sera quando rincasa si fa il piantarello liberatorio al sicuro tra le mura domestiche, forgiata com’è da una famiglia stramba e piena di artisti (“Tutta gente che non ha mai fatto un lavoro serio”).
Nemmeno l’arrivo di una maternità inattesa la addolcisce e risponde agguerrita anche stavolta, pronta a non farsi sconvolgere da un sentimento materno che non le appartiene.
In un giorno solo però, il suo lavoro va a rotoli. Viene licenziata in tronco perché amante di un alto dirigente della ditta farmaceutica in cui lavora e da cui aspetta un figlio(Paride, ben interpretato da Adriano Giannini) e si ritrova improvvisamente a condividere la panchina del giardinetto di fronte l’azienda con un manipolo di “bizzarre creature” alle prese con mancanza di lavoro e scompensi affettivi. Sono Olga, Gianna ed Enrica: nell’ordine Elena Sofia Ricci, Iaia Forte e la cantante e attrice siciliana Thony.
Anche con il loro aiuto, e supportata dalla grande capacità di saper individuare i punti deboli di ognuno della fronda che l’ha fatta fuori al lavoro, Anita si trasforma in una Beatrix Kiddo dark e senza katana. La sua vendetta fredda e calcolata non avrà scrupoli.
La capacità della regista, sostenuta da una buona sceneggiatura, di cui è autrice insieme a Federica Pontremoli, è quella di trovare un mix riuscito tra comicità grottesca e surreale, commedia nera e persino thriller. I personaggi non sono schematici perché in corso d’opera si evolvono sorprendendo.
Gli intrepreti fanno bene la loro parte e tutti senza distinzioni si incastrano bene nel puzzle costruito dalla regista romana con un Libero De Rienzo che gioca da equilibrista nel ruolo di avvocato fantozziano del nuovo millennio dando vita ad un personaggio che si svela man mano. Poco più che apparizioni per Bebo Storti ( boss della azienda) e Luce Caponegro/Selen ( sua amante).
Anche il finale aperto non va nella direzione che ti aspetteresti. Merito al coraggio e alla voglia di provare nuove strade.