Il lungometraggio, distribuito da Lucky Red, ha creato una grande attesa nel pubblico internazionale in un periodo molto prolifico di prodotti in proiezione nei cinema. Oltre alla presenza dei due apprezzatissimi attori hollywoodiani però troviamo un cast che vede interpreti come Logan Lerman(Percy Jackson, Noi siamo infito, Noah), Michael Peña (già presente nel film di Ayer: End of Watch - Tolleranza zero al fianco di Jake Gyllenhaal)e Jon Bernthal conosciuto per lo più per il ruolo di Shane Walsh nella serie televisiva The Walking Dead, rispettivamente nei panni di Norman, Gordo, Grady Coon-Ass.
Nell’Aprile del 1945, nella Germania nazista quasi del tutto in ginocchio, mentre gli alleati sferrano l’attacco decisivo in Europa, il sergente dell’esercito americano Don Collier, da tutti chiamato “Wardaddy” (Brad Pitt), guida un’unità di cinque soldati a bordo di un carro armato Sherman chiamato appunto, Fury. Il gruppo affiatato accoglie una recluta, Norman, e viene messo spesso alla prova da missioni temerarie ed eroiche nel cuore della Germania. Gli uomini di Wardaddy dovranno ricorrere a tutto il loro coraggio e alla propria arguzia per sopravvivere agli orrori della guerra.
Le riprese di Fury - che significa Furia e che probabilmente sfrutta anche l’assonanza con Führer, che in tedesco significa "capo" o "guida" con cui Hitler veniva appellato – sono ambientate dunque nel distretto della Ruhr ma sono state svolte esclusivamente nel Regno Unito.
Il tempo narrativo è comprensibilmente semplice poiché la vicenda che si palesa sul grande schermo è ambientata nell’arco di un giorno, dall’alba all’alba. La guerra è quasi terminata ma quell’elefante morente, l’impero nazista, non vuole assolutamente mollare alcun centimetro senza lottare. Comunemente i film sulla seconda guerra mondiale che abbiamo visto celebrano campagne vittoriose e invasioni mastodontiche. Fury si discosta da ciò e va ad affrontare quelli che sono gli ultimi giorni del fanatico regime, con forza emotiva e immagini cruenti, centrando il quadro di una delle situazioni più drammatiche della storia Europea.
La sceneggiatura di Fury regge molto bene e i personaggi non cadono nei comuni stereotipi dei film bellici. Il rapporto fra Norman e Wardaddy, ad esempio, si fa molto interessante e si avvicina a quello che si può instaurare tra un padre e il proprio figlio. Norman viene educato, viene spronato e guidato a diventare un soldato efficiente, non solo per la sopravvivenza dell’intero quintetto ma anche perché egli può essere visto, appunto, come il figlio che Wardaddy non ha mai avuto.
Gli orrori della guerra vengono visti da vicino e difficilmente vediamo riprese di paesaggi in soggettiva o l’uso di abbondanti comparse. Il film non sembra voler puntare sul numero di soldati ripresi ma sulla qualità dei pochi, a intensificare i sentimenti ormai logorati da una guerra che perdura da anni. C’è bisogno di prendere delle decisioni dure, a sangue freddo, in situazioni dall’aria rarefatta, da parte di persone che non vogliono più rischiare di non tornare a casa e vedono la vittoria ormai vicina, ostacolata solo dagli ultimi sforzi che dovranno subire.
L’opera di David Ayer è bel film, cruento ma veritiero, e si inscrive, non nelle prime posizioni, fra i film bellici americani più riusciti. Per capirci meglio un piccolo Salvate il soldato Ryan o un Apocalypse Now in miniatura, concentrato e appassionante. L’amicizia fa da perno in un mondo piccolo quanto un carro armato Sherman. Ci viene sbattuto in faccia cosa hanno vissuto quei soldati fra il caldo e la stanchezza, la sporcizia, il perenne odore della morte nell’aria, i disagi più incredibili, la poca esperienza di alcuni e le avverse condizioni meteorologiche per non parlare di quelle alimentari. Le mille situazioni folli, ostili, assurde, di uomini prima che di soldati.