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The Salvation, la recensione

Venerdì, 05 Giugno 2015 00:32

Danese, classe 1957, il regista e sceneggiatore Kristian Levring è uno dei cofondatori del movimento Dogma 75. L’ ultimo film dell’eclettico cineasta è “The Salvation”, distribuito da Academy Two e in uscita nei cinema italiani l’11 giugno prossimo. Radio Libera Tutti l’ha visto in anteprima per raccontarvelo.

Per molti il Western è un genere morto e sepolto e tanti si chiederanno se ha senso continuare a girarne. Se l’è chiesto l’autore stesso e la spiegazione che s’è data è da rinvenirsi nell’amore infinito per tre maestri del cinema: John Ford, Kurosawa e Sergio Leone.  Messa così diventa impegnativa concorderete ma “The Salvation” è un western vecchio stile, asciutto ed essenziale. Da un lato ci sono i cattivi tout court, dall’altro i buoni o forse è meglio parlare al singolare viste le vicende del film. In mezzo ci sono quelle anime pavide o semplicemente troppo deboli per opporsi ai soprusi di chi il male lo amministra e lo genera ad ogni cicchetto di whisky o tirata di sigaro.

Per protagonista Levring sceglie Mads Mikkelsen (l'Hannibal Lecter della serie Nbc Hannibal) che veste i panni di Jon, danese immigrato negli Stati Uniti intorno al 1860 dopo la guerra che aveva messo in ginocchio il suo paese. Ora sono passati una decina d’anni dal suo arrivo insieme al fratello nella terra promessa ed è finalmente giunto il momento di riabbracciare la moglie ed un figlio che non ha fatto in tempo neppure a conoscere.

L’arrivo per madre e figlio non sarà certo bagnato da un benvenuto. L’essersi imbattuti nel viaggio che li avrebbe dovuti portare nel piccolo appezzamento acquistato da Jon, in due malviventi appena usciti di prigione, sarà foriero di una tragedia che non si arresta neppure quando Jon riuscirà a farsi giustizia.

Il terrore degli abitanti di Black Creek porta il nome dello spietato e spregevole colonnello Delarue ( Jeffrey Dean Morgan). E’ lui che si metterà sulle tracce di Jon, colpevole di aver ucciso il fratello di Delarue ( uno dei due malviventi di cui sopra).

Il resto non ve lo racconto ma è tutto nel dna di un film western che si rispetti. Soprusi, risveglio e vendetta sono l’abc di un cinema che non inventa nulla ma rende il meglio di sè nelle ambientazioni e nelle interpretazioni solide dei protagonisti tra cui citiamo Eric Cantona ( più per il nome che per il reale impatto nel film) e la bella, e sfregiata per l’occasione, Eva Green. Lei è la moglie muta del fratello di Delarue, grande  passione del colonnello che ora ha la possibilità di avere quel che gli spetta e desidera da tempo, dopo la morte del fratello. Tutto giocato sugli sguardi ( e non potrebbe essere diversamente) il ruolo della Green è quello di una donna forte, risoluta e che non si fiacca di fronte a nulla: sa quel che vuole, ci prova, fallisce ma non demorde mai.

Superba ancora una volta la prova di Jonathan Pryce nel ruolo di Keane, The Undertaker. Sì lo so, ma perché non scrivo in italiano?? Perché suona troppo bene, lasciate correre!

Il sindaco della città è una figura ambigua, sfuggente, opportunista e meschina e Pryce sa renderne bene ogni sua sfaccettatura.

Se avete nostalgia di certi film vecchio stile, questa produzione danese farà al caso vostro. Solida come il legno che si produce nelle terre del regista, spigolosa come deve esserlo un Revenge Movie (ci risiamo!) e semplice come i bisogni che muovevano le vicende degli uomini di quei tempi e di quelle terre assolate, ventose, inospitali e se va bene scontrose.

90 minuti sono l’ulteriore buona qualità di un film che se non graffia a dovere resta comunque consigliabile.