La trama: un sedicenne, Leo, dal carattere introverso e problematico, con un difficile rapporto con i genitori e con la scuola, si innamora di una sua compagna di scuola, Beatrice. Prima però che possa conquistarla, lei si ammala di leucemia. Ma neanche una malattia come questa può fermare l'amore: Leo infatti decide di conquistare Bea standole vicino, facendole tornare il sorriso, arrivando addirittura a iscriversi al registro dei donatori sperando che il suo midollo sia compatibile con quello di lei. I suoi sforzi non saranno pienamente ricompensati, ma lui troverà lo stesso quello che all'inizio della storia gli mancava: un sogno che sopravvivesse anche alla morte, e che diventasse il suo nuovo sprone a vivere.
Il titolo ovviamente gioca sulla dicotomia tra i due colori: il bianco, oltre ad essere il colore del sangue dei malati di leucemia, simboleggia l'assenza, il vuoto, lo smarrimento; il rosso è per antonomasia il colore della passione, del fuoco e di tutto ciò che di bruciante la vita ci riserva. Superare questa dicotomia sarà un'altra delle sfide del protagonista.
Come vedete, gli spunti (sebbene non genialissimi) c'erano. Ma chi ha preso in mano l'adattamento cinematografico, che pure vanta una sceneggiatura dello stesso d'Avernia , non li ha saputi sfruttare. Quello che manca a questo film, infatti, è proprio il sentimento: avrebbe dovuto essere una storia di amore e morte, e invece qui diventa la storia di un ragazzo fondamentalmente antipatico, che non si fa amare per più di cinque minuti di film, tutto centrato sui suoi sentimenti, e che se ne frega di quelli altrui, che molto improbabilmente tenta di conquistare questa Beatrice pseudodantesca, inarrivabile, troppo perfetta, e le dedica tutta l'ora e mezza di durata del film, per poi scoprire che era Silvia , l'amica secchiona che lo aveva sempre aiutato (a scuola e nei rapporti umani), il suo vero amore! Un film infarcito di luoghi comuni (l'occhialuto che si deve mettere con la cessa con l'apparecchio, i bulli dal cuore d'oro, il ciccione sfigato che alla fine si rivela tutt'altro, il professore -Luca Argentero- comprensivo che addirittura tira di box, i genitori -Flavio Insinna e Cecilia Dazzi sprecatissimi- con cui manca il dialogo, etc.), che non riesce a decollare se non in una o due scenette minori esilaranti, e che non è tenuto su da una recitazione di primo livello dagli interpreti più giovani. Colonna sonora raccomandata solo ai fan dei Modà.
Conclusione: film inconcludente, raccomandato a chi vive di stereotipi riguardo l'amore o chi ha voglia di vedere solo una commedietta disimpegnata, o a qualche ragazzo che desidera rifarsi gli occhi con la procacità delle due protagoniste (Aurora Ruffino, già vista in La solitudine dei numeri primi, e la modella Gaia Weiss, qui tinta per esigenze di copione).
Adriano Carrieri