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Nel film-documentario “87 ore” non si parla della storia di Francesco Mastrogiovanni, cinquattottenne maestro di scuola elementare, non della sua attività politica giovanile, non si parla neanche della sua morte e del dolore della sua famiglia: in “87 ore” di Costanza Quatriglio, in realtà, quasi non si parla affatto. A comunicare è il più crudele e, oggi, forse il più spersonalizzato dei sensi: la vista. Gran parte del film è, infatti, costituito dai video di sorveglianza della clinica psichiatrica del Vallo della Lucania, nel Cilento, in cui Mastrogiovanni, il 31 luglio 2009, era stato ricoverato a seguito della richiesta di Tso (trattamento sanitario obbligatorio).
Così, dal momento in cui questi, dopo essere stato prelevato dal mare, ancora in costume e a piedi nudi, entra nella clinica assistiamo a una sequenza di immagini sincopate nel modo proprio delle registrazioni e senza voce, accompagnate solo, all’inizio e alla fine, da una musica che ricorda il suono del carillon e altre strumentali. Ma non serve altro. Dai primi minuti in cui Mastrogiovanni vaga senza posa per il corridoio del reparto o mangia il suo frugale, ultimo pasto, ai suoi tentativi di liberarsi dai legacci che lo hanno costretto in quel letto per giorni, senza più cibo né acqua, alla freddezza con cui un infermiere pulisce il sangue dal pavimento con uno strofinaccio, ogni fotogramma ci ricorda che è il 2009, che siamo in Italia e in piena democrazia (o almeno così crediamo).
Si avverte allora che non è più la negligenza, l’indifferenza o la volontà dei 6 medici e dei 12 infermieri (i primi condannati in primo grado, gli altri assolti), ma è l’obiettivo della videocamera, l’oggettività presunta della vista e quindi la stessa “naturalità” di un’operazione scontata come il “vedere” che si mettono in discussione. Come la regista ha dichiarato: “c’è ancora la possibilità di umanizzare lo sguardo” (ma forse era quasi una domanda).
Voglio dire: “87 ore” non è la storia di Francesco Mastrogiovanni, ma è un interrogativo più ampio che assume un punto di vista preciso su una pratica ancora comune dei reparti psichiatrici italiani. Emblematiche, in questo senso, le scene dell’ultima notte di Mastrogiovanni, in cui vengono mostrati tutti e nove i video di sorveglianza in split screen: le musiche tacciono, in una stanza un uomo sta morendo, in un’altra una donna dorme al contrario sul letto, un paziente si rigira, un corridoio vuoto; nel silenzio, un uomo è morto.
Il film è stato presentato il 6 novembre in anteprima nell’ambito del Festival Arcipelago, al teatro Palladium di Roma, sarà nelle sale della capitale e di Milano dal 23 novembre e in onda su Rai 3 il 28 dicembre. Raccomando comunque la visione cinematografica: di stare cioè un’ora e un quarto “incatenati” a una poltrona, a rifare così l’immobilità delle videocamere e di quel corpo incatenato a un letto d’ospedale.
di Mario d’Angelo