Presentato nella selezione ufficiale dello scorso Festival di Cannes, il film è tratto da due racconti del regista datati 2005. Per chi li avesse già letti, occorre comunque sapere che nel film si aggiunge la figura dell'attrice senza più voglia d'esserlo, che va a vivere nell'appartamento di una periferia parigina - Isabelle Huppert fresca sessantatreenne.
Il film ha il passo lento di tanti film francesi e forse è necessario qualche minuto per immergervisi totalmente. Capire la direzione che prenderà non è subito semplice (e poi chissà perchè dovrebbe esserlo...) eppure mano a mano che la storia si dipana scopri ad uno ad uno tutti i personaggi finendo per innamorartene. Tutti uniti da un comune destino. Tutti superbi e tutti effigiati nella meravigliosa locandina del film. Ci sono l'aspirante fotografo prigioniero di sè (Gustave Kervern), l'attrice in crisi, l'infermiera che fa il turno di notte (Valeria Bruni Tedeschi), l'astronauta americano disperso (Michael Pitt), Il teenager annoiato (Jules Benchetrit) e la signora ospitale dalla grande umanità (una grande Tassadit Mandi).
Tre storie che corrono parallele nello stesso palazzo e che vedono la Banlieu parigina raccontata da un altro punto di vista rispetto al solito. Il regista parte con la voglia di raccontare tre cadute e tre ipotetiche risalite. Per farlo pensa che non ci sia nulla di meglio dell'aria che si respira in tante periferie. La stessa nella quale ha vissuto da ragazzo e che sa sprigionare un senso di solidarietà sconosciuto altrove. Si dispiegherà in varie forme e soprattutto in quelle meno ovvie e banali. Solidarietà, amicizia e condivisione che non ha bisogno di parole. Il film, contrariamente ai tanti della tradizione francese, ne è assai avaro.
Gli sguardi ed i gesti sono in primo piano e contribuiscono a farne un film oltremodo delicato e dalle sfumature leggere e impercettibili. C'è anche il gusto per la battutta ma la risata non è mai grassa e non per questo meno gradevole, tutt'altro. Un film che aiuta a riconsiderare noi stessi e il nostro rapporto con gli altri. Le nostre fragilità e un senso di condivisione che le metropoli e i tempi forsennati in cui viviamo forse ci stanno rubando.Ben strutturato, diretto e "impaginato" il lungometraggio di Benchetrit non sarebbe però lo stesso senza le prove di un cast che nella sua interezza gioca una gara di bravura.
Il condominio dei cuori infranti è una piccola gemma che sarebbe un peccato perdere. Il rischio è che il cuore infranto sia proprio il vostro, anche se, nel caso non andrete, non saprete mai cosa vi siete persi. Meno male che qualcuno a tirarvi idealmente per la giacca c'è. Oggi sono io.
di Alessandro Giglio