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Matanic torna al cinema con Sole Alto: recensione e trailer

Venerdì, 22 Aprile 2016 12:56

Vincitore del premio Un certain regard al Festival di Cannes, Sole Alto esce il 28 aprile, con una distribuzione medio-piccola in circa trenta sale. Distribuito dalla Tucker Film, che punta molto sul passaparola e su una presenza prolungata sugli schermi italiani, sarà presente a Roma al Nuovo Sacher. Eccovi recensione e trailer.

La sensazione che si avverte, guardando l’ultimo lavoro del croato Dalibor Matanić, e che resta addosso, dopo la visione, è quella di una dolorosa autenticità. Il regista e sceneggiatore racconta le ripercussioni della guerra, non solo di quella serbo-croata, su un’ideale coppia di ventenni appartenenti a nazioni diverse e in lotta fra loro. Sole Alto è un film diviso in tre episodi: il primo, ambientato nel 1991, all’inizio del conflitto; il secondo, nel 2001, tra le macerie di uno scontro appena concluso; il terzo, nel 2011, quando tutto è finito ma la riconciliazione è tutt’altro che scontata. Ogni segmento si svolge nello stesso villaggio della dalmazia, una zona in cui, prima del 1991, serbi e croati convivevano serenamente. I due attori protagonisti, entrambi bravissimi, interpretano di volta in volta personaggi diversi, così come i pochi personaggi secondari.

Ciò che colpisce di Sole Alto è la rigorosa tematizzazione nelle tre fasi del film. All’inizio, un’esuberante storia d’amore, prossima a un viaggio verso Zagabria per cominciare una vita insieme, viene sconvolta dall’odio etnico che acceca il fratello di Jelena nei confronti del suo ragazzo. Uno straziante punto di non ritorno. Nel mezzo, Nataša e sua madre tornano nella loro casa, abbandonata e semidistrutta durante la guerra, affidandone la ristrutturazione a un giovane croato. Tra questi e la ragazza scatterà infine una passionale scintilla, ma le responsabilità dei padri si riveleranno insormontabili. L’ultimo episodio, il più attuale, mette in scena il ritorno di Luka dai propri genitori e dalla donna serba che prima del conflitto gli aveva dato un figlio. É solo qui che la Storia comincia a restituire, insieme a un insostenibile senso di colpa impossibile da lenire, il primo gesto di speranza.

Tre momenti, scanditi di dieci anni in dieci anni, che ci ricordano non solo la ciclicità del tempo, ma anche le costanti che si manifestano in ciascuno di questi periodi, celebrate da una regia molto tecnica, attenta a dettagli simbolici e sapiente nel valorizzare i primi piani e la fisicità degli attori. Un elemento comune è senza dubbio rappresentato dalla natura che, come ha affermato la giovane interprete Tihana Lazović, è stata fonte d’ispirazione per tutto il cast e infonde alla pellicola una dimensione agreste che rimanda a un altro fattore centrale, ovvero l’animalità dei personaggi. Citando Abdellatif Kechiche e il suo "La vita di Adele", infatti, sia nella rappresentazione dell’amore, sia della sua fine, passando per un’unica, viscerale, scena di sesso, i due ragazzi si affrontano e si scontrano con primitiva umanità. Ultima, ma non meno importante, l’importanza dell’acqua. C’è un lago, nelle vicinanze del villaggio, nel quale quasi tutti i personaggi principali andranno a bagnarsi, uscendone, ogni volta, come purificati. Tre elementi, questi, intensamenti collegati e portatori di un sistema di valori che ribadisce l’uguaglianza di ogni essere umano a scapito dell’odio etnico che ha condannato la Croazia e la Serbia. Matanić, per fortuna, elabora tutto senza retorica, riuscendo a comunicare anche un interessante punto di vista: i genitori sembrano non conoscere la rabbia razziale, che invece fa subito breccia fra i giovani. Uno spunto di assoluta attualità.

di Paolo Di Marcelli