Chiron è un bimbo in fuga da compagni di scuola che non vedono l’ora di picchiarlo. Madre tossica e una comunità, quella black di periferia, in cui si pensa di più a sopravvivere alla strada che altro. Trova rifugio in una casa abbandonata, ritrovo di drogati e spacciatori in cui, dopo la fine dell’assedio dei bulli, sopraggiunge Juan, ricco drug dealer che da quel giorno, insieme alla sua compagna Teresa, comincerà a prendersi cura di lui. Un’incontro che determinerà le scelte del ragazzo fino all’età adulta.
Con un grandioso corollario di movimenti di macchina e inquadrature tese a sottolineare la sensibilità e la fragilità del protagonista, Moonlight proietta Berry Jenkins fra l’elite degli autori più interessanti degli Stati Uniti. Un blackpoitation raffinato – e a tratti addirittura lirico – che mostra i figli minori di una periferia in cui, oltre allo spaccio, vige la legge del più forte. Il percorso di Chiron potrebbe sorprendere, ma in realtà non è che il triste epilogo di coloro che non hanno scelta.
C’è poi un discorso identitario, reso evidente dal titolo dei tre capitoli, anch’esso tristemente metaforico, che supera e sovrasta quello sessuale. Moonlight non è un film sull’omosessualità, come ha già scritto qualcuno, perchè l’esperienza adolescenziale tra Chiron e l’amico Kevin attiene più alla desolazione emotiva, sociale e culturale che a una vera propria scelta consapevole. Si tratta, come d’altronde succede nei primi due atti, dello scontro atroce tra l’impaurito protagonista e un mondo enorme, feroce, e forse incomprensibile. Più che altro, il legame ambiguo con l’amico Kevin ma soprattutto l’infanzia con Juan e Teresa, tracciano la crescita di un ragazzo che nella prima parte delega passivamente agli altri la definizione di sè stesso, fino ad appropriarsene orgogliosamente nel finale della seconda e poi completamente nella terza.
Altro aspetto interessante riguarda la scelta di girare due terzi della pellicola principalmente in esterno giorno. Si tratta delle fasi in cui il protagonista è esposto, senza filtri e con la sola protezione prima di Juan e poi di Teresa, alla crudeltà dei personaggi che lo avversano. Funzionale e azzeccata, invece, la decisione di ambientare il finale quasi esclusivamente di notte, prima nella propria casa, poi nel diner e nella residenza di Kevin, in cui il bilancio di un’esistenza sofferta fa crescere intorno a Chiron le mura rassicuranti di una conclusione in cui forse è possibile recuperare un barlume di autentica umanità.
Accolto favorevolmente in patria e già forte di ottime recensioni su Rotten Tomatoes e Metacritic, Moonlight è una parabola illuminante e dolorosa sulla scoperta della propria identità, sulla predestinazione e sulla condanna a replicare le orme dei propri maestri, buoni o cattivi che siano, accompagnata da un’ottima colonna sonora che amplifica la tragedia di una vita ai margini.
di Paolo Di Marcelli