In bici senza sella racconta brillantemente il tema della precarietà lavorativa italiana attraverso l’espediente narrativo della struttura episodica: sono sei infatti i cortometraggi che lo compongono, diretti da sette registi emergenti: Giovanni Battista Origo, Sole Tonnini,Gianluca Mangiasciutti, Matteo Giancaspro, Cristian Iezzi, Chiara De Marchis e Francesco Dafano. Spiccano invece tra gli attori Alberto Di Stasio (“Sergio” nel film Boris), Francesco Montanari (“Il Libanese” in Romanzo Criminale - la serie) e Riccardo De Filippis (“Scrocchiazeppi”, sempre nella serie di Romanzo Criminale).
Un problema che riguarda tutti.
Come ribadito più volte dai registi in occasione della proiezione del film in anteprima il 27 Ottobre, alla Facoltà di Economia della Sapienza di Roma, a fare da protagonista in tutte le vicende non è tanto una generazione in particolare, quella dei “bamboccioni” e dei “fannulloni”, quanto la ricerca stessa della stabilità, “il posto fisso” che peraltro dà titolo ad un episodio ed inonda senza alcun argine di età tutti i lavoratori del Belpaese.
Partendo da questo principio, i registi hanno avuto l’intelligenza e l’originalità di elaborare i propri lavori in modo diversificato gli uni dagli altri, sia per le scelte di montaggio, che per quelle di fotografia, colonna sonora o sceneggiatura (con la costanza dell’ambientazione, la Capitale).
Si assiste così alla storia di una giovane donna, protagonista dell’episodio intitolato “Crisalide” la quale, rimasta incinta, finge di non esserlo per non farsi licenziare dal proprio direttore dopo che questi le aveva appena fatto firmare un contratto a tempo indeterminato; oppure quella di un ragazzo, fresco di laurea e master, che in “Curriculum vitae”, paradossalmente, a causa della sua preparazione non riesce a farsi assumere da nessun datore di lavoro e in preda alla frustrazione adotta un ingegnoso espediente per tirare avanti; e così via.
Tra atmosfere ora surreali, ora grottesche, il film è un buon tentativo di raccontare senza pregiudizi una realtà sociale decisamente ampia e complessa, aiutato in ciò proprio dalla scelta di organizzarlo in episodi, che tuttavia rappresenta un’arma a doppio taglio: se infatti è vero che in tal modo si allarga l’orizzonte della narrazione, d’altra parte si impedisce di analizzare con cura tutti gli aspetti degli eventi proposti. Così facendo, ai titoli di coda si avverte sì il senso di leggerezza che immancabilmente accompagna l’epilogo di ogni commedia piacevole (nonostante la mediocrità di certe interpretazioni, soprattutto ne “I precari della notte”), ma anche di una certa, leggera insoddisfazione.
di Diego Benedetti