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Secondi a nessuno: La signora maoista di Woody Allen

Giovedì, 10 Novembre 2016 11:40

Rifiutiamo la completa attenzione riservata solo per il personaggio principale. Promuoviamo un occhio attento ai piccoli gioielli che si nascondono nei ruoli marginali, emarginati, dimenticati. Questa rubrica darà luce ogni mese a quelle comparse che sospirano nell’ombra, a tutti gli abitanti delle periferie delle sceneggiature cinematografiche, a quei ruoli che non sono poi secondi a nessuno


MAKE AMERICA RED AGAIN!

Crisis in Six Scenes, la brevissima serie tv di Woody Allen uscita lo scorso settembre per Amazon.com, è stata criticata in varie forme e misure un po’ ovunque. Con l’arrivo ieri di Trump alla Casa Bianca, l’aria di nostalgia per degli anni Sessanta combattivi sembra quasi trasformarsi in un auspicio.
Nonostante la mia lunga carriera da fan sfegatata di Woody, posso dire che forse ne abbiamo un po’ le tasche piene di personaggi nevrotici e paranoici. Perciò Sidney J. Munsinger, il nevrotico di turno interpretato da Allen stesso, già dalla prima puntata non ci stupisce molto. Sua moglie Kay (interpretata da Elaine May), invece, sembra uscire direttamente dall’albero genealogico dei Tenenbaum. Assolutamente surreale, creativa terapista di coppia, totalmente impavida. Incurante del pericolo e delle paranoie del marito, è un personaggio buffo e confortevole.
In una serie che non sembra lasciarci poi molto sorpresi su nulla, il club del libro della signora Munsinger e le sue lettrici hanno attirato la mia attenzione. E in particolar modo Lucy (Marylouise Burke), dolcissima signora borghese dalla imponente capigliatura bionda. Come le sue compagne è ricca, bianca e piuttosto sprovveduta in politica, ma ricompensa con una buona dose di innocenza. Pecca in acume, anzi il suo modo esilarante di essere stralunata mette Allen nella posizione di creare dialoghi spassosi ma allo stesso tempo acuti. Sono personaggi macchiettistici, non scordiamolo. La loro ironia serve da una parte a prendere per i fondelli tutta una certa classe dirigente (non solo degli anni Sessanta) intenta a pensare solamente al costume e al loro piccolo mondo dorato. Un po’ come quei personaggi stralunati di certa letteratura inglese dell’Ottocento, fonte di ilarità ma pungente critica di classe. Dall’altra, con la loro innocenza che ricorda quella dei bambini, serve a svelare le maglie di discorsi politici che forse Allen ci sta suggerendo, sottovoce, di riguardare.

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La loro incapacità a cimentarsi con la sofferenza “vera” è eloquente quando Rita (Sondra James) paragona il dolore provato dalla tradizionale fasciatura dei piedi femminili cinese al dolore provato da lei stessa con delle scarpe strette. Allo stesso tempo, l’idea della rivoluzione si sedimenta nelle loro menti ben più velocemente che nella testa del giovane frustrato innamorato della terrorista. In meno di due minuti di sceneggiatura, le signore della buona America bianca sono pronte a protestare nelle forme più estreme conosciute fino ad allora. E qui ritorna il paradosso meraviglioso che avvolge l’intero club di lettura dell’episodio 3: l’assoluta facilità nel mettere in agenda la Rivoluzione, all’interno però di una fitta settimana di impegni mondani.
Lucy nello specifico sembra amare particolarmente il presidente Mao e la rivoluzione, anche se non ama molto il tè cinese, come ci tiene a precisare. La sua espressione perennemente sconvolta, con dei liquidi occhi da uccello galliforme, mostra tutto lo spaesamento dell’alta borghesia nei confronti della vita reale.
Nonostante ami la rivoluzione, spogliarsi in pubblico come forma di disobbedienza civile (cito la signora Ann), non le va proprio a genio all’inizio, ma appena le sue compagne rincarano la dose con la proposta di  spargimento di sangue di maiale, allora lei urla un felicissimo: ci sto!
E dopo una lunga contrattazione sul giorno e sulla modalità di rivoluzione, evitando il sabato che la signora Munsinger ha un Bar mitzvah, Lucy pronuncia la frase che da sola giustifica tutta la puntata. Stringendo il suo tailleur cipria, portando le mani al petto, scuote il capo fresco di messa in piega, e sorridendo esclama: «il presidente Mao sarebbe così fiero!».

E non può non tornarmi alla mente, seppur con le dovute differenze, Vittorio Gassman che ne La Terrazza di Ettore Scola esclama: «A che ora è la rivoluzione, signora? Come si deve venire? Già mangiati?». 

 

di Hilde Merini