Le cose dall’ultima volta che abbiamo visto le ragazze Gilmore sono abbastanza cambiate. Fuori dai colpi di scena, e dalla vita che inevitabilmente cambia, tutti e quattro gli episodi portano incisa la stessa parola scritta in grassetto: crisi. Crisi dei cinquanta, dei trenta, dei venti, degli ottanta. Intendiamoci, i personaggi di Gilmore Girls non sono mai stati propriamente calmi e sereni. Isteria e nevrosi l’hanno sempre fatta da padrona, e ci piacevano anche per quello. Stars Hollow non è più un piccolo diamante in mezzo al Connecticut, una comfort zone dove andare a ripararsi dalla tempesta della city (anzi, delle cities in questo caso). Un posto di stramboidi, dove puoi essere scema quanto ti pare, qualcuno ti amerà proprio per quello.
I bei tempi dei primi 2000 sono finiti. Stars Hollow è abitata da persone sull’orlo di una crisi di nervi. Gente palesemente annoiata, che non sa che fare nella vita. Impauriti, tutti. Eccentrici con tocchi grotteschi: Paris in prima fila, con la sua agenzia di surrogate. Lorelai in continuo loop di crisi adolescenziali. Luke arreso ad una vita amorosa dittatoriale. Rory palesemente una fallita, e questo non può che rincuorarci. Non solo la ragazza d’oro frutto del sistema educativo più scadente dell’Occidente non ce l’ha fatta, ma fa praticamente più o meno le cazzate che fanno tutti quelli con un Q.I. più basso. L’unico con un minimo di sale in zucca sembra Michel, che mantiene il piglio cinico e crudele, senza risultare ripetitivo.
La serie tv con alcuni dei migliori personaggi secondari che ricordavamo è diventata una carrellata di casi umani. Volendolo vedere con un occhio sociologico, possiamo dire che gli Sherman-Palladino invece di rappresentare il sogno americano, hanno messo in scena la sua disintegrazione. Non solo questi ricconi sono tristi e ridicoli, ma anche i loro concittadini più o meno abbienti sono abbastanza fuori controllo. La società dell’incertezza, come direbbe qualcuno di molto famoso. Tutto farcito da un capitalismo sfrenato che se ne frega della borsa (ma dove li prendono tutti quei soldi?). Piccoli soliti drammi della upper class.
In questo polpettone soporifero, l’unico personaggio vagamente scorretto che incontriamo è la suora. Anzi, le suore (Bonita Friedericy, Mary Pat Gleason). Tutti i personaggi della serie hanno più o meno giocato il tutto per tutto durante le quattro puntate, e i coniugi Sherman-Palladino per quanto abbiano provato a renderli ridicoli (vogliamo parlare ancora di Paris?) non sono riusciti a mantenerli freschi come un tempo.
Verso metà della quarta puntata, dopo la fine dell’ennesima fuga dalla realtà di Lorelai, incontriamo le suore giocare a carte in quella che probabilmente sarà la nuova sede del Dragonfly Inn. L’edificio era un ospizio, ma con la morte dell’ultimo ospite, ora l’immobile è in vendita. Lorelai incuriosita entra per chiedere informazioni. Il palazzetto ha evidenti problemi, che suor Beatrice (Mary Pat Gleason) non riesce proprio a non dire: tassi e omicidi, per iniziare. Ma le anziane suore vogliono venderlo in fretta, e a tutti i costi. Nella perfetta ottica capitalista che domina tutto il telefilm, chiunque paghi subito ha il favore delle signore, persino il Diavolo in persona. Un bella gatta da pelare per la nostra protagonista, che si ritrova d’improvviso in competizione immobiliare con Katy Perry, che dalla sua ha una caratteristica molto apprezzata dalle venditrici: è una giocatrice d’azzardo. Che vuoi farci, le sorelle sono rimaste vecchio stile: amano il poker e i contanti, come un mafioso.
Il breve siparietto di qualche minuto mette in scena una sfida a colpi di battuta tra una Lorelai ridondante («C’è Whoopi Goldberg da qualche parte?» cit.) e due suore sornione. Pochi minuti di semplice scorrettezza, che allietano quasi cinque ore di serie tv noiosissima.
Gilmore Girls: A Year in the Life si conclude fortunatamente con un colpo di scena, che lascia presagire future puntate dall’umorismo trito e citofonato.
di Hilde Merini