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Secondi a nessuno: il veterano Edgar e la sofferenza mentale di You're the Worst

Lunedì, 09 Gennaio 2017 19:05

"Secondi a Nessuno" è la rubrica che rifiuta la completa attenzione riservata solo ai personaggi principali. Una rubrica mensile che pone attenzione alle comparse che sospirano nell'ombra, personaggi emarginati o dimenticati nelle serie tv. Quei ruoli che non devono essere però secondi a nessuno. Questo mese vi presentiamo Edgar il veterano della serie You're the Worst. 

You’re the Worst è una tra le serie tv più irriverenti del momento, che ha saputo affrontare il tema della sofferenza mentale senza scendere in toni drammatici. Protagonisti, con personalità autodistruttive, sono Gretchen e Jimmy che affrontano una relazione sui generis, in un universo di personaggi secondari macchiettistici ed reali al contempo. Un mix di battute amare, humour scorretto, sesso & droga & scelte sbagliate.

Nella seconda stagione scopriamo che Gretchen convive con quella che viene chiamata la depressine clinica (MDD). Lontano da romanticizzazioni ottocentesche, e con la durezza tipica della protagonista, assistiamo non solo ad un incredibile climax di brutte decisioni, tentativi di fuga dalla realtà, crisi isteriche ed apatia, tipiche dei disturbi dell’umore, ma anche a durissimi micro-monologhi. Una rappresentazione incredibilmente realista della depressione, che si apre con quel «you can’t fix me» detto a bruciapelo a Jimmy appena gli spiega l’origine delle sue sofferenze. Una frase che è quasi una presa di posizione degli autori, lontani dall’alimentare fantasmi crocerossini nella narrazione.

Lo stesso finale di stagione sottolinea e riprende questa pratica: Gretchen in piena anedonia, completamente sola, vedendo Jimmy, stupida esclama «You stayed». Si rimarca ancora la totale mancanza di voglia di rendere semplice e poetico qualcosa di assolutamente difficile: non è poi così scontato che qualcuno “rimanga”, che riesca ad affrontare la sofferenza mentale. D'altronde l’intero leitmotiv della seria è l’incapacità dei protagonisti di essere in una relazione sentimentale (la stessa colonna sonora canta I’m gonna leave you anyway), figuriamoci con qualcuno che non si mostra più indipendente e strafottente.

Gretchen e Jimmy vivono insieme ad Edgar Quintero (Desmin Borges), un veterano della guerra in Iraq affetto da DPTS (disturbo da stress post traumatico). Tenuto in piedi fondamentalmente dall’uso costante di psicofarmaci, Edgar prepara abbondanti colazioni alla coppia di coinquilini e fa teatro. La sua permanenza nella casa è intervallata dai continui atti svilenti di Jimmy nei suoi confronti, che ricambia con una dose massiccia di frasi stralunate e buon cuore. Durante la terza stagione Edgar smette però di prendere i suoi abituali farmaci, che come spesso accade gli provocano un calo della libido e problemi di erezione. Lo vediamo cambiare, ansioso, preda di incubi e manie di persecuzioni. Come Gretchen, prova anche lui come può a sfuggire dalla realtà. Spesso scappa e beve in pieno giorno, si isola, o cerca conforto nel meraviglioso sistema assistenziale americano che lo risputa come una vecchia scarpa (non come Gretchen che può permettersi una psicologa privata). Un personaggio spesso caricaturale, proprio atto a sbeffeggiare quella guerra ridicola che produce persone ormai traviate nell’animo e abbandonate a se stesse, viene riscritto umanissimo nel quinto episodio intitolato "Twenty-Two", totalmente focalizzato su di lui. Un profondo spaccato non solo della difficoltà di affrontare il DPTS, ma specialmente di un’America che manda i propri soldati a farsi sfasciare senza poi assisterli nei seguenti anni di sofferenza che li aspetteranno. In punta di piedi, gli autori muovono in questa puntata una critica anche alla retorica e al potere psichiatrico e militare, che controllano i corpi dei soldati (o ex soldati) anche una volta finita la missione di guerra, pronti non solo a renderli docili ed innocui (fondamentalmente drogati) ma soprattutto servizievoli (verso lo Stato in guerra).

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La rassegnazione verso un sistema (anzi due, militare e assistenziale post trauma) trova la sua soluzione diy: trova quello che funziona, gli dice l’ex veterano che guida il carroattrezzi. Un consiglio triste e spassionato, che segue una frase che suona come una condanna o un’accettazione della crudele realtà: loro non posso guarirti, non passerà. "Quando smetterai di cercare qualcuno che ti curi, tornerai a vivere" gli dice. Può suonare molto come un atto imprudente da parte degli autori della serie di spronare chi soffre di DPTS a non affidarsi troppo (o non fare troppo affidamento) al sistema di cura federale. A loro difesa invece possiamo invocare la rappresentazione di un momento di comprensione, di aiuto concreto dall’interno, orizzontale. Una visione concreta del problema: andare avanti day by day, trovare il trick. E un po’ di tranquillante naturale! Il dubbio che sia un delirio c’è, ma se anche la soluzione arrivasse dal suo stesso male, che male sarebbe?

di Hilde Merini