Diventare genitore fa parte della natura dell’essere umano. E non esserlo? Cosa è naturale e cosa contro natura?
Il padre d’Italia, seconda opera di finzione del regista calabrese Fabio Mollo, esplora un tema scottante nel dibattito generale italiano cercando un punto di vista intimo. Sono quindi i sentimenti al centro di tutto, contano più di ogni altra cosa, scavalcano tutte le etichette e le cornici pre-impostate dalla nostra cultura popolare per portarci ad una serie di interrogativi e costringerci ad affrontarli.
“E in questo Paese cosa vuoi fare?”
Ogni essere umano può generare (con le dovute eccezioni) e i motivi che lo spingono alla riproduzione sono molteplici: la voglia di amare, il patto d’amore, la continuazione della specie. Ma il fatto che una donna non voglia avere figli deve essere vista come una cosa innaturale? E un omosessuale che vorrebbe essere padre? Esistono due nature nette e distinte fra eterosessuali e omosessuali? E poi vi è soltanto l’istinto materno oppure ne esiste uno pure per i padri?
Francesco Molli, avvalendosi dell’aiuto di due bravissimi attori quali Luca Marinelli (lo ricordiamo per lo Zingaro di Lo chiamavano Jeeg Robot e per Cesare di Non essere cattivo) e Isabella Ragonese (Il giovane favoloso e In un posto bellissimo) cerca di riflettere questi interrogativi all’interno di un On the road tutto italiano. Da Torino a Reggio Calabria.
Paolo è un trentenne torinese e conduce una vita solitaria, dettata da un passato doloroso che ritorna e da cui non riesce ad uscire. E’ un uomo concreto e fin troppo razionale, accetta la sua omosessualità ma non tutto ciò che questa comporta. La sua vita viene completamente scossa da Mia, una eclettica e problematica coetanea al sesto mese di gravidanza che non riesce mai a dire la verità, forse neanche a se stessa. Il loro incontro avviene per puro caso fra le luci stroboscopiche di una discoteca. Spinto dalla volontà di riaccompagnare Mia a casa, Paolo intraprende un viaggio al suo fianco che porterà entrambi ad attraversare l’Italia da Nord a Sud, da Torino a Reggio Calabria, permettendo loro di spogliarsi dei drammi personali e riscoprire l’irrefrenabile desiderio di vivere.
La precarietà emotiva dei due protagonisti, Paolo e Mia o Mia e Paolo se preferite, è messa a dura prova dalla società che li emargina allontanandoli dal loro nido, li mette in un angolo facendoli vacillare contro il mostro più imprevedibile: il futuro. Perché non sanno cosa diventeranno, quali idee avranno, come potranno essere diversi da quello che sono ora. Senza riuscire a capire le nuove emozioni, quelle che nascono dal loro incontro-scontro, non sapranno mai dove queste li porteranno.
“Perché a te quando succede qualcosa sai subito se è giusta o sbagliata?”
Sul piano estetico il film è dinamico e vivace, supportato da un favoloso montaggio sonoro dovuto per lo più ad una colonna sonora elettronico-pop con incursioni anni ’80 e rivisitazioni contemporanee cantate anche in presa diretta da Marinelli e Ragonese. Il padre d’Italia non è però un film sulla società o sul costume. E’ una mano delicata che accarezza l’umanità delle persone togliendo il diritto allo spettatore di giudicare i personaggi che hanno solo voglia di sognare. Hanno il coraggio di far accadere l’impossibile, quasi a voler essere un miracolo. E un miracolo è considerato anormale, una operazione contraria alle leggi della natura che la nostra mente assimila senza pregiudizi, proprio come impariamo da Mia e Paolo o Paolo e Mia.
Di Luigi Colosimo.