Con uno stile asciutto ed essenziale, i fratelli Taviani tornano con una storia dai contorni allucinati che mette sulla bilancia il peso del dramma della guerra civile e quello della gelosia. Il punto di partenza è il racconto breve omonimo di Beppe Fenoglio; protagonisti un tormentato Luca Marinelli (Milton), Lorenzo Richelmy (Giorgio) e Valentina Bellè (Fulvia, in questi giorni in onda su Rai Uno con Sirene). “Sì, è il solito triangolo d’amore, perché no? Non inventiamo nulla. È un film di genere, potremmo dire, come tanti mediocri film e tanti straordinari film e come le grandi tragedie: Artù – Ginevra – Lancillotto, per esempio. Il mito dell’originalità secondo noi è una balla. Si copia sempre, cercando di fare diversamente le stesse storie. Alcune volte meglio, se hai fortuna.”
Il valore aggiunto, in questo caso, è quello di estendere la delirante ossessione di Milton sia nell’ambiente circostante – la presenza costante di una nebbia tanto posticcia quando esplicitamente impressionista – sia nei personaggi cui si imbatte per cercare Giorgio, tutti tristemente inutili al suo scopo. La vicenda nasce dalla rivelazione a metà della domestica di Fulvia, in cui Milton si imbatte casualmente all’inizio del film. La donna racconta che dopo la partenza per il fronte del ragazzo, il suo amico Giorgio veniva spesso a trovare Fulvia, rimanendo con lei fino a tarda notte. I piani di guerriglia e la paura dei fascisti improvvisamente vengono messi in secondo piano, e Milton sfida l’orrore della guerra mettendosi sulle tracce dell’amico/nemico, partigiano come lui, per conoscere la verità.
Le atmosfere rarefatte delle montagne piemontesi e i volti emaciati dei soldati completano il quadro di un incubo amoroso che prende il sopravvento sull’obiettivo comune della Resistenza. Si avverte, fin dalle prime scene, che le azioni e i ragionamenti di Milton sono offuscati, sbagliati, confusi e deleteri. Una questione privata si sofferma sugli effetti pericolosi della “vita di prima” del protagonista: il ricordo di Fulvia – i flashback brillano di una fotografia quasi patinata, contrapposta a quella gelida e funerea del presente - invece di rappresentare un totem di speranza, rischia di portare Milton alla morte. In questo senso, i fratelli Taviani mettono in scena una pulsione amorosa rovinosa che abbruttisce più della guerra. Quest’ultima è mostrata soffermandosi sui primi piani di partigiani e “scarafaggi” – così vengono etichettate le camicie nere – evidenziandone, in linea con l’ossessione di Milton, la tendenza a una meccanica ripetizione priva di senso. In un film totalmente affidato allo sguardo segnato di Luca Marinelli, i Taviani trovano anche il tempo (brevissimo) e lo spazio (una baita) per un momento di cinema puro nella scena della bambina scampata alla strage: un piccolo racconto per immagini che esplicita un’istanza narrante ancora poetica e più lucida che mai.
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Paolo Di Marcelli