I The Jackal non si smentiscono: Addio Fottuti Musi Verdi è un concentrato purissimo delle loro parodie, delle citazioni ai film dell’infanzia, dell’uso “leggero” e ironico della musica, degli omaggi al cinema di genere e di una visione del mondo in bilico tra adolescenza e tutto ciò che viene immediatamente dopo. L’esordio al cinema di Francesco Capaldo, in arte Francesco Ebbasta, regista e direttore artistico della casa di produzione napoletana nata per gioco e oggi impegnata tra collaborazioni in programmi tv, spot, corti e gli immancabili video “cazzeggio”, è una commedia fantascientifica ben girata e dal ritmo sostenuto, specie nella seconda parte. Per l’ennesima volta, il collettivo di Lost in Google, Vrenzole e Gay ingenui si guarda intorno e trae ispirazione dalla condizione più diffusa tra i trentenni di oggi, ovvero la difficoltà di trovare un impiego dopo anni di studio. Ciro (Ciro Priello, ormai vera e propria webstar) non riesce a mettere a frutto le sue doti di grafico qualificato, così è costretto a lavorare in una friggitoria mentre incontra ripetutamente il capo di una ditta di piselli per convincerlo ad accettare l’idea vincente per l’etichetta dei suoi barattoli. Le giornate trascorrono in compagnia dell’amico Fabio, un video-maker di matrimoni appassionato di un franchise immaginario (che dà il titolo al film) di “guerre stellari” tra umani e alieni (Fabio Balsamo, famoso per essere continuamente vessato in Gli effetti di Gomorra sulla gente), e Matilda, (Beatrice Arnera, classe 1995) di cui è innamorato. Quando il suo curriculum finisce nello spazio, permettendogli di trovare il lavoro dei sogni a bordo di un’astronave extra-terrestre, le cose prima migliorano, poi si complicano.
Addio fottuti musi verdi ha un impianto classico da romanzo di formazione per ragazzi (è stato presentato, infatti, nella sezione Alice nella città) ed è una creatura unica nel cinema italiano. Un po’ perché coniuga, con successo e una buona dose di coraggiosa follia, l’immaginario partenopeo fatto di pizza, caffè e mamme onnipresenti con una fantascienza piegata al mondo del lavoro (!) ben curata nelle scenografie e negli effetti visivi. Poi, perché nel linguaggio e nelle citazioni (da Last Action Hero in poi) somiglia moltissimo a un fan movie ma vanta, a differenza dei video low-budget che girano in rete o delle piccole opere che ogni tanto arrivano ai festival di genere, una produzione importante e una distribuzione capillare (Cattleya, Rai Cinema e 01 Distribution). Infine, perché parlare di “esordio” può voler dire qualcosa in termini narrativi e di durata, ma Priello, “Ruzzo Simone” e soci si affidano ai cavalli di battaglia che gli hanno consentito milioni di visite su Youtube: dalle continue autocitazioni (si pensi, fra tutte, al corto The parker), persino sugli oggetti di scena, alle stesse guest star dei loro lavori più comici e conosciuti fino ad arrivare – ed è una novità, pur nel solco del già visto se guardiamo al cinema americano – a un cameo irresistibile di una celebrità che interpreta se stesso pur calandosi degnamente nelle esigenze di copione. L’unico limite del primo film dei The Jackal è quello di rivolgersi poco oltre il loro pubblico affezionato ricorrendo ad intuizioni consolidate e meccanismi rodati. Non c’è nulla di male, anzi, perché il loro è un marchio di fabbrica mai banale e intelligente, capace di rinnovarsi ogni volta e sempre “sul pezzo” (come il punto di partenza di questa storia), ma rinunciare a questo tipo di prudenza – sacrosanta trattandosi dell’opera prima, sia chiaro – avrebbe significato uno sviluppo più interessante delle potenzialità autoriali di Capaldo, e forse, anche più risate.
Paolo Di Marcelli