Noi abbiamo visto anche Soul Kitchen, premio speciale della giuria a Venezia 2009, che segnava il passaggio dal dramma alla commedia grottesca con grandi risultati. Stavolta i toni si rifanno cupi e, senza svelare da dove Akin abbia preso (tristemente) ispirazione, più vicini alla realtà di quanto si possa immaginare. La colonna sonora? Josh Homme dei Queens of The Stone Age.
Il film comincia con il matrimonio, celebrato in carcere, tra Katja (Diane Kruger) e Nuri, che sta scontando una pena per spaccio di droga. Qualche anno dopo, i due hanno avuto un bambino, l’uomo è diventato un commercialista (dopo aver studiato economia in prigione) e sua moglie lo aiuta coi conti. Qualcuno fa esplodere una bomba davanti all’ufficio di Nuri, che muore sul colpo insieme a suo figlio Rocco. Chi è stato? E perché?
Se prima di farti una famiglia hai frequentato la malavita, allora te la sei cercata. Mettendo in scena i sospetti della polizia sulle conoscenze della vittima, insieme alle insinuazioni dei familiari, il regista e sceneggiatore tedesco comincia col denunciare la sconfortante consuetudine del pregiudizio. Poi, la seconda parte della storia, che si divide in tre capitoli (La famiglia, La giustizia e Il mare), trasforma Oltre la notte in un legal avvincente mostrando le fasi del processo fino alla sentenza. Il segmento conclusivo è ambientato in Grecia ed è incentrato sulla vendetta, che tuttavia non rappresenta la vera (e unica) anima del film.
Akin non ci risparmia nulla, cercando continuamente con primi e primissimi piani il dolore di Katja: la pellicola era in concorso a Cannes e Diane Kruger ha vinto il premio come migliore attrice. In effetti, la sua è una prova totale perché, grazie ai filmati che Katja rivede puntualmente sullo smartphone (momenti quotidiani di una famiglia felice, in casa e, non a caso, al mare) l’attrice si serve della naturalezza con cui interpreta la vita prima del lutto per caricare con la più autentica delle disperazioni i momenti successivi. Il risultato è da applausi.
Tutto su di lei e attraverso di lei: non ci sono sotto trame o scene in cui non sia presente, quando c’è lei non c’è profondità di campo e quando entra (davvero) in azione la macchina da presa riprende il set come una scacchiera su cui lei avanza come una regina. É proprio l’inesorabile perdita di slancio ed espressività del suo volto che infonde forza e potenza al film: prima ancora che sulla vendetta, Oltre la notte è un’opera straziante e rigorosa sulla morte dell’anima e di tutto ciò che ci tiene a galla.
Paolo Di Marcelli