Cafarnao Caos e miracoli arriverà in sala con Lucky Red il prossimo11 aprile dopo aver vinto il Premio della giuria a Cannes ed essere stato candidato all'Oscar per il miglior film straniero.
E’ proprio mentre la regista libanese è a Roma per la conferenza stampa, (insieme marito Khaled Mouzanar musicista e produttore) che arriva la notizia che sarà lei a presiedere la giuria di Un Certain Regard nella prossima edizione del Festival di Cannes.
Cafarnao è la storia dell'odissea di Zain (Zain Al Rafeea), un bimbo di 12 anni cresciuto in una famiglia poverissima, tanto che i genitori arrivano a vendere la sorellina di 11 anni a un vicino di casa che vuole sposarla. Un film che parla di migranti, diritti e identità e di nuove schiavitù.
In conferenza Labaki ha messo a fuoco gli elementi alla base del film. “La parola "capharnaum" indica in francese una grande confusione di cose e persone. E’ lo stesso per il suo film mette insieme tanti elementi differenti, anche religiosi oltre al tema della guerra sempre inevitabilmente presente nella cultura libanese.
“Tutto è venuto naturalmente e per istinto, in un caos che è anche il risultato della guerra e della storia del Libano. L'elemento religioso è in qualche modo presente infatti se vogliamo Zain è quasi un piccolo Messia, un salvatore e la voce di tutti questi bambini senza voce”.
Quali politiche si possono avviare per cercare di mutare la condizione dei profughi?
“Non credo sia mio compito, come artista, indicare le soluzioni ma solo mettere in luce certi aspetti. La situazione è difficile, in Libano risiedono circa un milione e mezzo di profughi e la loro condizione è profondamente ingiusta. Io sento la responsabilità di dare un volto umano ai problemi che invece vengono raccontati in modo astratto, solo attraverso dati e cifre. Sono i politici che debbono mettersi attorno a un tavolo e ragionare”.
Il film è il risultato di 520 ore di girato. Come avete lavorato?
“Siamo partiti da una sceneggiatura molto solida che a sua volta era il risultato di tre anni di ricerche. Non mi sentivo legittimata ad immaginare delle storie, non avendo mai vissuto quelle esperienze. Ho visitato luoghi di detenzione, tribunali, campi profughi e ho parlato tanto con bambini e famiglie. Abbiamo girato con attori non professionisti che avevano vissuto esperienze molto simili ai personaggi. I bambini, in particolare, non recitavano, avevamo anche una bimba di un anno. Bisognava essere pazienti, aspettare che le cose accadessero e avere anche capacità di improvvisare viste le tante cose trovate nelle riprese che inizialmente non ci aspettavamo. Abbiamo girato per sei mesi e sono arrivata ad un primo montaggio di 12 ore, poi da lì alla durata attuale di due ore”.
Il film è riuscito a muovere le coscienze?
“Ha sollevato un grande dibattito e continua a farlo. Organizzeremo proiezione per i ministri, i magistrati, gli avvocati in Libano. Voglio sfondare i limiti del cinema, non so se riuscirò, forse sono ingenua, ma è necessario tentare”.
Tra le emergenze di cui si parla nel film c'è anche la vendita delle bambine per matrimoni tra adulti e ragazzine. Una piaga atroce non le pare?
“Sono scioccata dalle cifre sulle spose bambine, è una situazione molto più diffusa di quanto crediamo, ed è nascosta. Si dice che è normale, che fa parte della tradizione, ma non è così perché le bambine vengono vendute e i governi non vogliono far conoscere la portata reale del fenomeno”.
Tra le sue fonti cinematografiche sembra esserci il neorealismo, ma anche il cinema iraniano e anche la lezione di Truffaut per il modo di riprendere i bambini.
“Non ho cercato fonti di ispirazione, mi sono affidata all'istinto, questa storia non poteva essere raccontata altrimenti. Certo, mi ha sempre affascinato il neorealismo, amo la naturalezza della recitazione nel cinema iraniano e apprezzo Truffaut. Ma mentre filmavo non pensavo a nulla di tutto questo”.
Cafarnao potrà segnare un punto di svolta nel suo cinema, dalla leggerezza del linguaggio di commedia dei due primi film a una nuova voce? Come proseguirà?
“E' difficile dirlo. In genere sono le storie che vengono da me e crescono come ossessioni. Oggi però sento maggiormente la responsabilità della mia posizione di artista. Il cinema è una delle armi più potenti per favorire il cambiamento, specie se vivi in certe zone del mondo: la nostra è una regione maledetta, anche se tutto il mondo sta diventando un “cafarnao”. Non credo di poter fare marcia indietro da questo impegno”.
Oggi il piccolo Zain ha una nuova vita. Questo film ha già fato qualcosa di positivo, è così?
“Sì, vive in Norvegia con la sua famiglia. E' andato a scuola, per la prima volta nella sua vita e anche i suoi fratelli e i suoi genitori hanno iniziato a studiare. Tutti i bambini del film sono rinati. Sosteniamo queste famiglie in modo che non debbano mai più mandare i figli per strada a lavorare”.
Galleria fotografica a cura di Alessandro Giglio