Il tipo del botteghino, che a malapena ricorda cosa ci sia in programma, rimane un attimo perplesso, condannando alla perplessità anche te e quelli in fila che non si sono ancora accorti esista un film con questo titolo. Guarda al tuo lato ma vede solo un Lui. Infine, un barlume lo illumina e gli fa emettere un “ah.. Her” dalla bocca e ti dà finalmente il biglietto. Primo imbarazzo passato. Arriviamo finalmente in sala. Trailer diversi di fantascienza. Incomincia. Ecco. Ambientato in un futuro x, non ci sono fortunatamente i colori tristi e apocalittici tipici delle visioni fantascientifiche del domani. Anzi. I colori sono vivaci, la fotografia ampia; non si soffoca in quel film; almeno non da subito. Tutti i personaggi sembrano vestire alla maniera degli anni Settanta. Le donne meno; gli uomini di più.
Scrivevo che non si soffoca da subito. Ma dopo un po' sì. Sono la psicologia e le sue ridondanze che opprimono, rendendo il film abbastanza lento. Soprattutto nell'irrealistico (almeno per noi del XXI secolo) dialogo tra un software e il protagonista maschile Theodore Twombly (un bravissimo Joaquin Phoenix). I dialoghi, molto analitici e riflessivi, permettono sicuramente di porsi delle domande su sé stessi e sulla propria vita, sui propri rapporti, ma l'irrealtà dei dialoganti mette addosso quella perplessità che era del tipo del botteghino di prima: Lei? Ma quale Lei? Si tratta pur sempre di un software.
Toccante è invece l'analisi interiore del protagonista che permette questo incontro tra uomo e macchina. La paura dei rapporti reali, del loro iniziare, del loro finire, della infinita solitudine che alcuni provano e che altri fingono di non provare. La necessità di voler condividere la propria vita con qualcun altro e, quando non accade, la ricerca dei palliativi nei macchinari, nostri nuovi amici: i social-network in fondo non fanno altro che illuderci delle relazioni umane. Come il protagonista piangiamo e ridiamo davanti a uno schermo, inconsapevoli della verità e della immaginazione che la tastiera e i pixel ci nascondono e ci mostrano.
Impossibile non ricordare L'uomo bicentenario di ormai quasi venti anni fa. Il desiderio di essere umani, di soffrire, di essere felice, di sentire la vita proprio dell'androide interpretato da Robin Williams è percepito anche in Her dal software Samantha (di cui la voce è quella sensualissima di Scarlett Johanson nell'originale; in italiano di Micaela Ramazzotti). Ma il finale cambia e non ve lo svelo, ovviamente.
Una storia che avrei preferito forse più come libro che come film. Joaquin Phoenix, Amy Adams, Chriss Pratt sono gli attori che interpretano gli uomini del domani, con le eterne paure e le eterne felicità. La regia, sceneggiatura e sogetto sono del bellissimo (permettetemelo) quanto bravo Spike Jonze.
Her è un film da vedere; magari non al secondo spettacolo.
Her : la colonna sonora
Merita una menzione anche la colonna sonora firmata Arcade Fire e Owen Pallet. La band canadese, non nuova a collaborazioni con Spike Jonze, ha composto le musiche già durante le riprese, la colonna sonora è nata passo passo con il film. Ne risulta un'estrema unione tra ciò che si ascolta e ciò che vede: le sonorità della musica degli Arcade Fire e Owen Pallet sembra provenire proprio da quel futuro non ben precisato in cui Her è ambientato.
Inserita nella colonna sonora del film anche The Moon Song, canzone scritta da Karen O (cantante degli Yeah Yeah Yeahs) e candidata all'Oscar come Miglior Canzone Originale. Troviamo la canzone in una delle scene più toccanti del film (vedi video qui sotto) in cui Samantha canta la canzone che ha scritto per Theodore che l'accompagna la voce della sua amata con l'ukulele.