Daniele Gaglianone conduce una interessante indagine cinematografica in Val di Susa, intervistando dieci cittadini che fanno parte di quella popolazione che da venticinque anni si sta opponendo al progetto della Torino-Lione, considerata un’ opera distruttiva e inutilmente costosa. Distruttiva soprattutto a livello ambientale, come ci mostra Gabriella Tittonel lungo il cantiere costruito a Chiomonte, delimitato da un filo spinato di fabbricazione israeliana. Questa donna si reca ogni giorno “qui” per pregare insieme ad altri attivisti cattolici, per trovare la forza e la volontà di continuare a lottare.
Il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, ci racconta invece il primo grande scontro con la polizia antisommossa, nel 2005, affermando: “quella notte sono diventato No Tav” e racconta quel senso di impotenza che ha provato nel vedere dei civili presi a manganellate in piena notte e dell’ incontro scostante avuto alla Prefettura di Torino, dove venne intimato di far sgombrare i No Tav dall’ area destinata a quel cantiere che ora si trova a Chiomonte.
Una soffocante assenza di dialogo, come mostra Cinzia dalle Pezze, una coraggiosa infermiera che cerca di comunicare con gli impassibili reparti antisommossa, facendo appello alla loro individualità contro l’ uso dei lacrimogeni e dei gas tossici che sono stati lanciati più volte contro i civili. E’ stato infatti proprio un lacrimogeno a ferire gravemente al viso Alessandro Lupi, un carabiniere in congedo e convinto No Tav, il quale soffre non solo per la ferita subita, ma soprattutto per quella che è stata inflitta moralmente al figlio di nove anni che sembra aver perso la fiducia in quel corpo di polizia che ha sempre visto come “amico” e che ora ha fatto del male al padre.
La telecamera cattura gli eloquenti silenzi di un uomo finito in carcere accusato ingiustamente di aver ferito dei poliziotti; le parole piene di rabbia di Alessandro Lupi, radiofonico di “Radio Blackout”, che ci fa ascoltare una vecchia diretta radiofonica con l’ attivista Luca Abbà, caduto da un traliccio durante una manifestazione; e le risate rassegnate di una pensionata che si è ammanettata insieme ad altre donne, alle recinzioni militarizzate.
“Qui condannati a morte dal Tav” è lo striscione messo da una delle tante famiglie che non vuole vedere la propria casa danneggiata dalla ferrovia, ma soprattutto si rifiuta di accettare un progetto che causerà gravi problemi di salute dovuti all’ amianto utilizzato per l’ ipotetica costruzione. Un padre di famiglia che racconta di essere stato cacciato dalla sede del PD appena ha nominato il nome “Val di Susa”, ma che non si arrende.
In due ore Daniele Gaglianone ci mostra come la lotta contro il progetto Tav, si sia tramutato in una lotta contro lo Stato, che sembra essere un’ entità, una forza sovrannaturale incontrastabile, che porta avanti un progetto nell’ illegalità, il quale porterebbe (in parte lo ha già fatto) ad un fortissimo impatto ambientale, ad un dissesto urbanistico e ad una grave crisi idrogeologica; insomma alla rovina irreparabile di uno dei luoghi più affascinanti della penisola italiana, che ora vive sotto stretta sorveglianza da parte delle forze dell’ ordine, quasi come una dittatura militare.
Un documentario che spinge a volerne sapere di più, che finalmente mostra i volti di persone comuni che combattono in prima linea, incoraggiati dall’ unione collettiva e dalla volontà di garantire un futuro migliore ai proprio figli. Persone che hanno trasformato metaforicamente quel “Qui” in “ovunque”.