Il riadattamento del testo originale ad opera di Ruggero Cappuccio ha lasciato tutti un poco basiti: fin dall’apertura del sipario lo scambio di battute fra Oberon (Lello Arena) e Titania (Isa Danieli), utilizzando una commistione lessicale fra italiano aulico, inglese maccheronico e napoletano, ha suscitato le risa del pubblico in sala. Ed è proprio grazie a questa commistione di generi e piani linguistici che ha reso fluida la pièce, anche se il primo atto, tutto sommato, è stato lento, più a causa della staticità della scena che per colpa di questi due attori di grande presenza.
Forse è proprio questo che nel complesso ha gravato sulla valutazione del pubblico presente in sala: lo spettacolo si regge fin troppo solo sulla bravura di Lello Arena e della grandissima Isa Danieli (applauditissimi alla fine, con molte chiamate sulla ribalta), la quale ci ha regalato alti momenti drammatici, dalle comiche battute in dialetto napoletano all’improvvisa interpretazione di scene tragiche, una consapevolezza dei gesti e dell’intonazione, della presenza e della scena incredibile. Ma mi fermo qui, meglio non provare a commentare la bravura di un’attrice con tanti decenni passati sulla scena. Peccato che il resto non fosse all’altezza dei due protagonisti.
La scenografia, sebbene, asfittica e oscura, fa pensare molto. In realtà tutto il dipanarsi dell’azione scenica fa pensare molto, apre molti interrogativi: attraverso un uso consapevole della comicità si innescano meccanismi di pensiero e di ragionamento, nella mente dello spettatore, sulla natura stessa del teatro classico, fin da alcune battute durante il primo atto, ma in un crescendo fino alla fine del secondo atto, con stacchi repentini della drammaticità dei protagonisti (più presenti nel personaggio della Danieli), ci troviamo a ragionare e pensare su cosa sia finzione e cosa realtà, quanto la realtà onirica sia compenetrata nella realtà fisica, quanto la classicità stessa non stia in realtà vivendo benché il proprio corpo sia già in decomposizione.
Malgrado il resto, dunque, il testo dello spettacolo e la grande bravura di questi due attori meritano di essere visti ed ascoltati, meritano di essere compresi e meritano di essere ragionati da spettatori che, a volte, si lasciano prendere troppo dalle risate, ma ragionano poco: questo spettacolo ci fa ridere, anche commuovere, ma alla fine ci fa pensare, riflettere e, alla chiusura del sipario, ci lascia interdetti. Solo al mattino seguente ho compreso molte cose che all’inizio mi erano sembrate oscure, ma, effettivamente, solo al mattino può finire un sogno.
Alberto Annarilli