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L’operazione: una commedia che non va a segno.

Sabato, 13 Gennaio 2018 11:22

L’operazione di Stefano Reali, in scena al Teatro Roma in questi giorni, interpretata da Nicolas Vaporidis, Antonio Catania e Maurizio Mattioli, per la regia dello stesso Reali, narra le vicende, grottesche ma vere, che possono avvenire all’interno d’una struttura sanitaria pubblica.


Le interminabili liste di attesa che debbono subire i pazienti prima di ricevere una prestazione medica; le vicende di corruzione mini ma – favoritismi per farsi operare o visitare dal primario di un reparto, e posti letto messi in vendita da malati in accordo col personale medico e paramedico – non sono che il pretesto per dar vita ad una serie di scenette e siparietti comici al fine di dilettare il pubblico. E se ci si limitasse a questo non vi sarebbero problemi. Il punto è quando un lavoro simile vuole assumere la pretesa d’essere metafora, simbolica e ben più ampia, del nostro tempo: in tal caso, bisogna dire che l’intento non coglie nel segno.

E perché? Perché è tutto troppo evidente. Il gioco immediatamente rivelato. Il pubblico non è provocato né invitato a porsi interrogativi su ciò che si sta vivendo in questo terribile periodo storico, né ad ipotizzare eventuali soluzioni per un radicale mutamento di rotta.
L’idea sarebbe potuta essere buona, originale anche. Ma si sarebbe dovuto rinunciare a qualche risata in più e ad applicarsi nel costruire un quadro drammaturgico d’insieme più ambiguo. Ciò che non è accaduto.


Anche le direttive di regia sembrano mancare. Gli interpreti – eccettuato Catania che, da attore ormai navigato, riesce ad essere sufficientemente efficace nel suo ruolo di degente malato e meschino venditore illegale di posti letto – si limitano a pronunciare le battute senza farle proprie. Sembra quasi che le leggano avendo in mano il copione.


Vaporidis, che tutti conoscono per i suoi ruoli – facili e stereotipati in Notte prima degli esami e film consimili – non riesce a liberarsi dal suo esautorato ruolo-cliché di adolescente superficiale, né si adopera per farlo. Anche mimicamente non ha presenza: quando non parla ma è comunque in scena, somiglia ad una sagoma di cartone che si anima di tanto in tanto per poi ripiombare nel silenzio e tornare ad essere un rigido e quasi inesistente manichino (e prova emblematica, per un attore, è proprio quella di saper stare in scena e recitare comunque, anche se non si proferisce verbo).


Il ruolo di Maurizio Mattioli – assente per un improvviso malore – è stato interpretato dallo stesso Reali al quale, non essendo attore, non si può certo rimproverare una totale mancanza di caratterizzazione del suo personaggio di infermiere corrotto in società col malato Catania.
Il pubblico ha timidamente riso, applaudito anche. Ma chiediamoci: di questo spettacolo e del suo ingenuo contenuto – così riassumibile: in Italia la corruzione non si arresta neppure in situazioni limite come la malattia – cosa rimane? La delusione per un’occasione persa.


Il punto è che fare teatro – scriverlo, metterlo in scena e recitarlo – è cosa ben più complessa di ciò che comunemente si pensa: si richiede approfondita cultura, tanta ironia e raffinata leggerezza. Qualità di cui L’operazione difetta: nella scrittura, nella regia e nell’interpretazione degli attori.


Pierluigi Pietricola