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Giordano Bruno : di eretici, ricercatori e precari

Lunedì, 17 Febbraio 2014 20:22

Il 17 febbraio del 1600 era il primo giorno di quaresima, il giorno delle ceneri. La scelta della data era stata l’ultima beffa della Santa Inquisizione per rifarsi sull’ostinazione dell’eresia di Giordano Bruno, che proprio in quel giorno venne bruciato.

 

Il patibolo fu allestito all’angolo di Campo de’Fiori, non nel centro. Nacque a Nola nel 1548, ma dopo aver lasciato Napoli e il convento in cui aveva preso i voti nell’ordine domenicano, Bruno non conobbe più una terra ospitale. Svizzera, Germania, Francia, Inghilterra e Repubblica di Venezia, e ognuno di questi paesi era attraversato dalle guerre di religione fra cattolici e protestanti d’ogni genere (luterani, anglicani, calvinisti). Guerre interne all’Europa cristiana su chi avesse la vera ricetta per la salvezza eterna. Giordano Bruno non andò mai d’accordo con nessuna di queste confessioni dal momento che la sua filosofia lo portò all’amara conclusione (per un frate domenicano) che le religioni fossero solo lo strumento di principi e imperatori per governare sull’ignoranza dei popoli.

L’eresia di cui si macchiò davanti all’ortodossia della Chiesa di Roma aveva diversi capi d’accusa: l’oltraggio al cattolicesimo, l’aver pensato una nuova cosmologia fondata sulle intuizioni matematiche della nascente astronomia contro l’aristotelismo dietro cui la Chiesa ancora si riparava (il processo di Galileo e la diffusione delle teorie di Copernico risalgono a 20 anni dopo!). Ma la colpa più grave stava nella perseveranza nell’idea di un universo infinito, con infiniti pianeti, il cui centro è ovunque e la periferia in nessun luogo. Fu questo smarrimento cosmico che non gli fu mai perdonato (mentre l’eresia scientifica di Galilei alla fine è stata perdonata…nel 1992!). I suoi dialoghi, scritti in volgare italiano (più comprensibile rispetto al latino per molti) davano scacco alla cosmologia classica e senza di essa venivano a mancare tutti i principi sui si reggevano gli ordini costituiti, naturali e politici (visto che anche la politica era cosa divina e non cosa pubblica). La sua condanna a morte fu un monito che segnò la vita degli scienziati di tutta Europa, come Galileo o Descartes. L’Inquisizione si sarebbe accontentata dell’abiura, ma Bruno se fu filosofo, lo è stato non solo per la sua grande sapienza e dottrina, ma perché come Socrate andò in contro alla morte senza mai rinunciare a due cose: la ricerca della verità e la coerenza della vita con questa.

L’Italia post-unitaria ne fece un monumento anticlericale, sia nel senso ideologico che in quello artistico, che ancora oggi si può ammirare al centro di Campo de’ Fiori. Se ricordare, come dice Alain Badiou, vuol dire riattivare le capacità di esperienze del passato, commemorare a vuoto i martiri è più una profanazione, se non si fanno rivivere i loro esempi. Certo è che oltre a questa facile icona risorgimentale, oggi verrebbe da paragonare questo filosofo errante, indefesso ricercatore del sapere, a quelli di oggi, i cosiddetti cervelli in fuga, il cui destino non è segnato dal rogo e da un posto nella storia, ma dall’anonimato quotidiano e dal sacrificio per un impegno - l’ampliamento del sapere umano e delle sue possibilità – di cui pochi riconoscono i meriti e ancora meno ne comprendono l’importanza. Walter Benjamin vide nella moderna economia capitalista una religione, la più feroce e implacabile che sia mai esistita, perché non conosce redenzione né tregua. Una religione che ha i suoi templi e i suoi sacerdoti, banche e funzionari. Forse questo sarebbe oggi il destino del Nolano, bruciare di precarietà a causa della moderna religione (ormai secolarizzata), e oggi questa è la nuova pena per una vecchia eresia: credere ostinatamente nel valore del sapere.

 

 

 

per approfondire:

se la feroce religione del denaro divora tutto - Repubblica

morte di Norman Zarcone - Repubblica Palermo