Da vent’anni a questa parte il campionato italiano ha messo in evidenza come il ruolo dell’allenatore sia un mestiere per toscani. Se nel calcio del primo dopoguerra la maggior parte dei “mister” provenivano da zone del nord Italia, come Trapattoni o Nero Rocco o addirittura dall’estero, come Liedholm o Herrera, nelle ultime decadi il profilo ideale di questo ruolo proviene prevalentemente dalla regione Toscana.
Il primo nome che salta alla mente di tutti non può non essere quello di Marcello Lippi, il commissario tecnico della Nazionale che ci ha regalato la vittoria del quarto Campionato del Mondo vinto in terra teutonica nel 2006. Viareggino di nascita e formatosi, sia da calciatore che da tecnico nelle fila della Sampdoria, Lippi comincia a farsi notare soprattutto nella stagione 93-94 quando divenne allenatore del Napoli. In quei dodici mesi regala spettacolo con gli ‘azzurri’, facendo esordire in prima squadra un certo Fabio Cannavaro, a dimostrazione di come certe volte le cose nel calcio non avvengono mai per puro caso. Con i partenopei non vince nulla ed era anche difficile pronosticarlo. Il Napoli infatti aveva smantellato quasi del tutto la rosa e senza Maradona e Careca la rosa non era più quella degli anni passati. Raggiunge comunque il quinto posto al termine di quel campionato e la sua consacrazione avviene poi col passaggio alla Juventus.
A Torino Lippi fa esprimere alla propria squadra il suo miglior calcio. Schiera sin da subito un tridente innovativo, fatto di corsa e di sacrificio: due tornanti (Ravanelli e Vialli) anziché due ali d’attacco pure ed è per questo che uno come Roberto Baggio deve lasciare il posto e la maglia numero 10 ad un giovane talento di nome Alessandro Del Piero.
Da allenatore della Juventus vince 5 scudetti, 1 Coppa Uefa e soprattutto la Champions League del 1996 contro l’Ajax, disputata allo Stadio Olimpico di Roma. Rimane comunque il rammarico di non averne vinta qualcuna in più, a causa delle altre tre finali perse, rispettivamente contro Borussia Dortmund, Real Madrid e Milan.
Ciò che ha fatto invece con la Nazionale è cosa risaputa. Le gesta di quella squadra in quei mesi di giugno e luglio del 2006 rappresenta ancora un vivido ed indimenticabile ricordo per tutti i “calcio-fili” italiani.
Arrivando invece ai giorni nostri, in ordine più che altro cronologico, non si può non citare Luciano Spalletti, uno che mastica calcio e che lo fa esprimere ai suoi calciatori nella maniera migliore possibile. Il tecnico di Certaldo si mette in luce inizialmente con le bellissime annate ad Udine. In Friuli ancora è ricordato come il miglior tecnico che abbia mai allenato l’Udinese dopo Guidolin.
Grazie al suo innovativo modulo 4-2-3-1 che prevede un mediano e un regista davanti alla difesa e tre mezze punte è riuscito a stravolgere i piani tattici di molti allenatori che ogni domenica hanno dovuto confrontarsi con lui, sia ad Udine che a Roma, sponda giallorossa.
E’ proprio alla Roma che la sua concezione di calcio è stata esaltata alla massima potenza e l’invenzione di Totti come “falso nueve” ne è stata la ciliegina sulla torta di un’esperienza che si sarebbe potuta concludere in modo migliore solo con la vittoria di due scudetti sfiorati alle ultime giornate di campionato. Oltre al falso attaccante ha inventato anche un nuovo ruolo: il “falso trequartista”, vale a dire Perrotta per intendersi, uno che faceva in verticale su e giù lungo tutta la linea del centrocampo ma che sapeva anche essere propositivo e segnare gol decisivi.
Questa concezione “spallettiana” ha talmente entusiasmato gli insegnanti di Coverciano (la migliore scuola di allenatori in tutto il mondo) e gli altri tecnici, che un altro allenatore toscano ha deciso di emularla, o quantomeno di riprendere questa filosofia; stiamo parlando di Massimiliano Allegri.
Il “Conte Max”, come amano chiamarlo i suoi più fedeli ammiratori è uno di quelli che non vive di calcio 24 ore al giorno, rappresenta un profilo diverso di allenatore rispetto ad un Capello o ad un Lippi ad esempio, ma non è da meno in quanto a tattica.
Si può affermare con certezza che lui riprenda molto il concetto di trequartista, fatto emergere da Spalletti e lo si può constatare con l’utilizzo di Cossu al Cagliari e ancora meglio, col trequartista atipico, nel suo periodo milanista con Boateng, giocatore decisivo nello scacchiere di quel Milan che vinse lo scudetto nella stagione 2010-2011, l’ultimo in casa rossonera.
Più che dei piedi buoni ad Allegri interessa il movimento del centrocampista offensivo, che attacca gli spazi e la profondità e che sa inserirsi dietro le linee del centrocampo. Queste caratteristiche ha provato a trasmetterle anche lo scorso anno ad Arturo Vidal, con ottimi risultati in Champions League, fino alla finale di Berlino. Oltre ad essere un esperto di tattica, l’allenatore livornese si sta dimostrando un ottimo “gestore”. Ha preso in mano la Juve orfana di Conte e in questi primi venti mesi nessuno ne sente la mancanza.
Altro grande allenatore e tattico, emerso forse troppo tardi nel calcio che conta è Maurizio Sarri, attuale tecnico del Napoli. Il suo curriculum, soprattutto grazie agli ultimi due anni trascorsi ad Empoli, gli hanno permesso di approdare un club di vertice come quello partenopeo. Nella città toscana è stato innovativo per un semplice fatto, ovvero sia quello di far giocare l’Empoli non come una squadretta provinciale adottando un sistema di gioco alla “catenaccio e contropiede”, ma come una big della Serie A. Sia ad Empoli che soprattutto quest’anno a Napoli si evince nei dati statistici delle partite che le sue squadre hanno avuto sempre una percentuale di possesso palla superiore rispetto agli avversari e gli automatismi di gioco, una volte appresi dai suoi giocatori, diventano letali contro chiunque e la stagione del Napoli ne è l’immagine più vivida e concreta.
In Toscana ha fatto emergere prima Saponara e Rugani, poi ha messo in mostra Hisaj e rispolverato Maccarone, mentre nella città campana lo ringraziano ogni giorno per aver fatto risplendere la stella di Insigne che non era mai davvero esplosa come nel Pescara di zemaniana memoria. Insomma, un vero maestro, oltre che cultore del bel gioco e del bel calcio.
Tutti questi allenatori toscani hanno proprio questo come comune denominatore: il bel calcio. Sarà forse l’utilizzo del trequartista o quell’aria “sbarazzina” per fare una citazione alla Spalletti, ma oramai avere in squadra un allenatore toscano può rappresentare una vera certezza, per la dirigenza ma soprattutto per i tifosi e non è certo un caso che le prime due della classe, vale a dire Napoli e Juventus, abbiano due allenatori toscani seduti in panchina.
di VALERIO VITALI