VIDEO DEL LIVE Di alessandro sfasciotti
FOTO DEL LIVE DI alessandro sfasciotti
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INTERVISTA A alessandro sfasciotti
Parlare con Alessandro Sfasciotti è stato un po' come incontrarsi con un vecchio amico e prendersi un caffè nella tranquillità più assoluta. Non è sbagliato dire che abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui, perchè fondamentalmente si è trattato proprio di questo: un'allegra conversazione piacevole e un po' scanzonata. Solo che invece di una comoda sedia e di un caffè caldo (che ci sarebbe stato a pennello data la giornata fredda e piovosa), ci siamo accontentati del rifugio offerto dalla macchina del cantante. L'importante è non far prendere un mal di gola a Alessandro proprio poco prima dell'esibizione.
Direi che qui è silenzioso e soprattutto non c'è il rischio di andare incontro all'assideramento. "Dieciunitàsonanti": come mai avete scelto questo nome per il gruppo?
«Comincio subito con il dirti che io sono famoso per le parentesi, quindi ne apro subito una prima di risponderti. Quando ho accettato di fare questo live, non sapevo neanche se sarei venuto da solo o con il gruppo. Perché questo? Perché negli ultimi mesi i Dieciunitàsonanti stanno in standby diciamo.»
Frena: prima di finire in guai grossi, ho per caso toccato un tasto dolente?
«Assolutamente no (fortunatamente ride NdR). Semplicemente non potevo risponderti senza dirtelo. Non so bene neanche io cosa vuol dire questa pausa, semplicemente non stiamo suonando e non stiamo scrivendo. Detto questo, il nome "Dieciunitàsonanti" deriva dal fatto che ci dicono che noi suoniamo con le mani: abbiamo un approccio molto tattile alla musica, molto poco cerebrale, molto poco teorico e molto pratico. E in un certo senso il dieci ci ha sempre affascinato, dà un certo senso di quadratura del cerchio. "Perché dieci se siete in quattro?" Per questo motivo.»
Qualcosa che esprime un concetto di completezza insomma. Ma quali sono invece i gruppi o gli artisti che hanno influenzato il tuo stile musicale?
« Come ti avranno detto tutti quanti, una lista pazzesca e il bello è che la lista va aggiornata continuamente. Comunque prima di tutto il punk.»
Il punk? Insolito.
«Il punk come lo intendo io però. In realtà dovrei dire il rock'n'roll. Io sento i Pearl Jam che mi piacciono tantissimo, e che domani per la prima volta in diciotto anni non andrò a vedere.»
...Io non li ho mai visti sfortunatamente, ti invidio.
«Ci sarà occasione. Dai Pearl Jam, passo a Neil Young. Da Neil Young a Bob Dylan. O Bruce Springsteen. E, ad esempio, al Boss chi piace? Elvis Presley e Bob Dylan e quindi tu scavi, scavi e scopri riferimenti nuovi. Ascolto i classici, ad esempio Chuck Berry e gli Everly Brothers (ultimamente sono fissato con gli Everly Brothers). Poi anche i grandi cantautori come De Gregori o Lucio Dalla o De André. E poi Paul McCartney e Prince. Tu "rubi" da tutti e cerchi di "rubare" così bene che alla fine fai qualcosa di tuo.»
Un "furto" musicale.
«Tu capiti in un momento strano in cui sto cercando ancora di capire se devo suonare da solo, se devo avere una band e con quali strumenti, quale voce devo avere insomma. Però ecco, con i Dieciunitàsonanti facevamo una cosa molto interessante: avevamo influenze musicali diversissime che confluivano comunque in qualcosa di personale però si sentiva che cosa ascoltava in quel momento Alessandro Santucci, la chitarra. O Cristiano Spadoni alla batteria, senti subito qual è la musica su cui si muove. O Valentino Orciuolo al basso... Vabbè, Valentino non si è mai capito (ride NdR) perchè lui ascolta di tutto ma inconsapevolmente e le cose che ascolta consapevolmente non si sentono al basso: è una cosa che ci faceva impazzire perchè non riuscivamo a dargli i riferimenti, però alla fine veniva fuori come una cosa tutta sua. è una cosa fantastica il fatto che lui non "scimmiotti" nessuno.»
Definisci scimmiottare.
«Fare rock in Italia è "non essere autentici". Scopiazzare qualcuno. Usare una posa. Mentre invece il succo è prendere quello che c'è di universale nel rock e portarlo nel tuo mondo. Per questo mi dispiace per tutti gli amici che cantano in inglese ma non li capisco (ride NdR) perché l'unica chance che hai per essere personale è cantare in italiano. E soprattutto se canti in inglese, perché magari vuoi fare una scelta internazionale e non vuoi rimanere in Italia (tra l'altro scelta rispettosissima, ci mancherebbe,) ma fai i testi che sono poveri, tutti "I want you, I want you", allora ben venga l'italiano. Ad esempio un bel gruppo di adesso, i Bud Spencer Blues Explosion, hanno sempre detto onestamente che per loro i testi non sono la cosa più importante. Non che siano testi stupidi, ma non sono l'elemento più importante del loro lavoro. Fanno testi che non sono male, ma non mascherano questa cosa. Perchè dovrebbero scimmiottare appunto un altro gruppo, nascondendosi dietro l'inglese? Lo vedi che apro mille parentesi? Parlo troppo (ride di nuovo NdR).»
Puoi parlare liberamente, abbiamo a disposizione quasi due ore di registrazione.
«Un altro gruppo che mi piace tantissimo sono i Kutso perché è un modo personale di fare qualcosa, si capisce cosa ti stai ascoltando e lo fanno capire a modo loro. Quella è roba buona.»
Cos'è cambiato musicalmente da quel primo EP "La cura migliore"?
«Per darti la risposta che ti darebbero i musicisti seri, ti direi che sono cambiato io, che siamo cambiati noi. In realtà la risposta vera è "non lo so". Me lo chiedo perché proprio adesso che sto cercando di capire se mi va di scrivere, cosa mi va di scrivere, mi fermo a pensare "che persona sono, che cosa mi interessa scrivere, che cosa vale la pena?". Che cos'è che vale la pena scrivere, che cos'è che vale la pena cantare. Io ho sempre scritto pensando che a qualcuno poi avrei cantato queste cose, anche tre persone o una. Però non le scrivo per farle rimanere nella mia stanza (che sarebbe anche fighissimo), non è per quello che lo faccio. è come l'ecologia, non mi va di inquinare con una canzone inutile: è pieno di canzoni bellissime, perché aggiungerne una che in fondo non è necessaria? E ti assicuro che questo è un atteggiamento di merda (ride NdR) perchè con questo atteggiamento non scriverai mai niente. E come se ogni volta dicessi "ok, c'è Sinatra, ci sono i Beatles, quindi che scrivo a fare io?".»
Ora non ti buttare giù in questa maniera però.
«Non mi butto giù, però questa cosa, questo eccesso di umiltà è importantissimo averlo. Nel momento in cui scrivi, devi tenerne conto. Quindi che cambia da "La cura migliore"? Tutto questo: il fatto che tu da allora sei maturato. Certe volte sembra che non sia cambiato niente, fondamentalmente l'approccio è lo stesso. Cambia il modo di suonare, subentra una certa maturità su alcuni dettagli. Cominci a pensare che una cosa per essere musicalmente valida non deve essere necessariamente complicata, che è il pensiero di quando sei giovane: "se faccio tre accordi, non va bene" e qui torniamo al punk tra l'altro. L'intento di stasera è fare qualcosa ridotto all'osso, puntare sull'essenzialità, la canzone prima di tutto. Ed ogni volta decidiamo insieme al pubblico se le canzoni che sto suonando sono valide o no.»
Il pubblico è quindi un elemento fondamentale.
«Guarda, oggi stavo sentendo il live di Jack White al Bonnaroo. Ad un certo punto lui dice al pubblico "siamo insieme qui. Voi pensate che sia la rivista Rolling Stone a fare il rock? Sì, quelli ne parlano, ma siamo io e voi qui adesso a rendere la musica viva". Che, detta in questa macchina tra me e te, sembra una puttanata (ride NdR). De Gregori lo dice sempre: "ci sono volte che i concerti sono uno schifo". Perchè magari la band non funziona o perchè al pubblico non gliene frega niente. Quindi anche De Gregori è in discussione sera dopo sera.»
"Dove": come nasce l'idea di questo disco e come si è evoluta nel tempo? Tra l'altro, questo lavoro vede anche la partecipazione di Paolo Benvegnù: com'è nata questa collaborazione?
«La collaborazione con Benvegnù è nata per merito di quel sant'uomo di Luca Novelli che è il produttore artistico di questo disco, quello a cui "abbiamo dato le chiavi della vettura". Sapevamo a malapena dove eravamo e sapevamo vagamente dove volevamo andare, ma sapevamo che non eravamo in grado di arrivarci da soli e quindi ci siamo affidati a lui che è non solo una persona fidata, ma aveva molto a cuore il nostro destino. "Dove"quindi è il punto di partenza e il punto di arrivo. Questo disco parla di luoghi in cui ti trovavi e da cui volevi andare via, molte strade, molte case. Tornando a Benvegnù, Luca aveva lavorato con lui in precedenza, aveva già questo contatto e gli aveva parlato di noi. Gli chiese se gli avrebbe fatto piacere coprodurre il disco, ma non è stato possibile per gli impegni di Paolo. Che però è stato talmente gentile da produrre interamente un brano e curare tutte quante le voci, cosa che per un cantante è un po' come passare un giorno con Babbo Natale (ride NdR). Ero con uno che ascoltavo da ragazzino quando era con gli Scisma e poterci lavorare è stato bello. è una persona umile a tal punto da metterti in imbarazzo. Su tante cose poi ha messo anche qualche voce lui, ha suonato qualcosa. La sera della presentazione del disco ha suonato tre o quattro brani con noi. Essendo persone in cerca di conferme, quando arriva Benvegnù e ti dà una conferma di quello che stai facendo, ti dice che stai facendo un buon lavoro, allora è una soddisfazione. »
A proposito di personalità importanti, com'è stato duettare con Samuele Bersani nel 2011 all'Auditorium Parco della Musica?
«è stato strano perché quella era una manifestazione che prima si chiamava Generazione X, ora si chiama Generazione XL ed è fondata proprio su un artista emergente (in quel caso eravamo noi) che viene aiutato da un artista famoso e che duetta con lui. Abbiamo fatto tutto durante il soundcheck. Durante il cambio palco tra noi e lui, gli abbiamo detto "Samuele, noi abbiamo preparato questo brano dei tuoi. Ti va di provarlo insieme?". Il brano era "Sedici noni", un brano di quello che allora era il suo ultimo disco. Non è tra i più semplici e non è neanche tra i più noti. Era tra quelli più "nascosti" e questa cosa lo ha colpito. Le canzoni di Bersani le può cantare solo lui. Ha un approccio strano alle sue canzoni, instintivo, e quando le rifai tu il risultato ti sembra strano. è stato molto bello, c'è stata solo la musica, al contrario di Paolo con cui c'era un rapporto prima. è stata proprio una cosa tra musicisti. "Abbiamo preparato questo brano, ti va di suonarlo con noi?" "Sì".»
Ultima domanda e poi andiamo finalmente a cena: cos'hai in mente per il futuro?
«Questa è la domanda più bella del mondo. Sappi che comunque quando mi hanno detto che avrei fatto un'intervista, ho pensato "povera la persona che mi intervisterà". Pensavo che avrei risposto ad ogni domanda con "non lo so".
Consolante.
«Ti spiego: di fronte a me il futuro è molto incerto. Non so se questo concerto è l'inizio di una nuova avventura o l'ultimo di una vecchia. Non sto facendo grandi programmi per il futuro. Mi piacerebbe molto mettere su un piccolo ensemble variabile in cui chi c'è, allora viene a suonare e per fare questo devi trovare gente molto brava. Ho già in mente una persona e uno strumento molto particolare e molto difficile.»
Di che strumento si tratta?
«Non te lo voglio dire (ride NdR). Non per fare il misterioso, ma perché ancora non sono sicuro e quindi vorrei aspettare prima di dirlo. Dipende molto dal tipo di canzoni che scriverò. Mi piacerebbe nei prossimi mesi scrivere qualcosa di nuovo, arrivare almeno ad una decina di canzoni. E poi farvele sentire (ride di nuovo NdR).»
La piacevole chiacchierata con il simpatico Alessandro Sfasciotti è terminata così, con la fame che cominciava a manifestare i suoi segni. D'altronde, in una serata fredda come questa, non c'è niente di meglio di una bella pizza calda e di una birra. Non siete d'accordo?
Francesca Marini, per Radio Libera Tutti