Come mai questa passione per la musica e la cultura irlandese? Da dove nasce? Avete mai suonato in Irlanda?
Marco Zampetti (banjo): «Non abbiamo mai suonato in Irlanda, abbiamo avuto un'offerta per un tour ma non si è concretizzata. Abbiamo cominciato suonando nei pub e abbiamo scoperto che le persone cantavano le canzoni irlandesi. Quindi abbiamo iniziato a fare i brani che ci chiedevano ogni volta e si è costruito un certo repertorio nel tempo. A noi piaceva già la musica irlandese per la capacità di raccontare certe storie. La stessa musica irlandese ci ha condotto a fare quello che facciamo. In passato ci hanno anche chiesto se siamo irlandesi in inglese e noi non sappiamo dire una parola in inglese, impariamo tutti i testi a memoria e basta. E tutto il mito crolla (ride NdR).»
Massimiliano Pasquali Coluzzi (chitarra): «Noi abbiamo iniziato in realtà facendo blues. Una sera abbiamo fatto"Whiskey In The Jar", pezzo eseguito anche dai Metallica che ci piace moltissimo, e lì abbiamo capito cosa fare visto che il pubblico aveva gradito molto.»
Il vostro non è puramente folk irlandese. Spaziate dal country al bluegrass, con elementi del blues, del dixieland... Come mai questa scelta stilistica?
Marco Zampetti (banjo): «Quando abbiamo cominciato io e Massimiliano con il duo blues, abbiamo rimediato un banjo che non sapevamo assolutamente suonare. Verso la fine dei live abbiamo pensato di proporre due o tre brani con il banjo e abbiamo notato che la gente, quando sente questo strumento, si sveglia (ride NdR). Il country nasce in America dagli immigrati provenienti dall'Europa, prevalentemente anglosassoni, quindi un forte filo logico c'è. La maggior parte delle melodie country e bluegrass sono semplificazioni delle melodie dell'Inghilterra del Settecento, portate in America con l'emigrazione dell'Ottocento. Il country è una derivazione. C'è un nesso logico con il folk irlandese. Poi ciò che maggiormente ci dona un'aria più country è il basso, nella tradizione irlandese è uno strumento assente perchè usano un tamburo per coprire le frequenze, il bodhrán, che ha solo suoni bassi. E il basso invece è più "americano".»
Quali sono stati gli artisti che hanno contribuito a costruire questo stile molto vario?
Marco Zampetti (banjo): «I Dubliners, i Pogues, i Clancy Brothers che hanno dato il via al folk irlandese in America. C'era una trasmissione televisiva negli anni cinquanta, "The Rainbow Quest". Un giorno l'ospite della puntata non si presentò e il conduttore, quel Pete Seeger, in sostituzione chiamò proprio i Clancy Brothers che suonarono per quell'occasione pezzi come "Wild Rover". La cosa fu molto gradita dalla comunità irlandese in America: si ritrovarono di punto in bianco le canzoni della loro terra d'origine in televisione. Qualche anno dopo scoppiò il folk. Per loro questo genere è come la tarantella da noi, la musica dei nostri nonni. Lì però sono più legati alle loro tradizioni, non c'è una scissione tra vecchio e nuovo. Quindi i Dubliners, gruppo che tra l'altro ha il banjo per l'influenza americana, e le altre band si ritrovarono con un pubblico già pronto a certe sonorità. Poi dal country abbiamo pescato qualcosa da Johnny Cash. Abbiamo preso dei pezzi anche da Bruce Springsteen e da Norah Jones.»
"Il Trio Binario": cosa indica il nome e come mai lo avete scelto per il gruppo? Ma soprattutto come si è formata questa band?
Massimiliano Pasquali Coluzzi (chitarra): «Noi all'inizio ci chiamavamo Duo Peroni, da bravi astemi (ride NdR). Poi si è aggiunto il bassista di allora Giorgio Zampetti, il fratello di Marco. Io ho trovato questa dissonanza tra "trio" e "binario". "Binario" ci piaceva perchè è una parola legata alle storie dei brani irlandesi. Ci piaceva quindi "trio binario".»
State lavorando ad un nuovo disco?
Massimiliano Pasquali Coluzzi (chitarra): «Stiamo suonando un sacco nei pub, abbiamo tempo a malapena per fare le prove. Le registrazioni sono sempre molto complicate, richiedono molto tempo. Poi noi abbiamo un altro lavoro, facciamo un'altra vita oltre a suonare.»
Marco Zampetti (banjo): «Ad esempio una registrazione live sarebbe l'ideale. Anche perchè in sala suoniamo peggio, se c'è il pubblico che ci fomenta si crea la giusta atmosfera (ride NdR). Speravamo che oggi ci registrassero, così avremmo fatto il disco e lo avremmo chiamato "In The Grove" (ride di nuovo NdR).»
Quindi cosa avete in programma? Altre date?
Marco Zampetti (banjo): «Suonare fino a fine luglio. Poi staccare e dimenticarsi di tutto per almeno dieci giorni per poi ricominciare a suonare i primi di agosto sul lago di Martignano. Abbiamo varie date, siamo contenti, l'anno è andato benissimo. E a settembre lavoreremo su cose nuove, abbiamo dei brani da inserire nel repertorio.»
Massimiliano Pasquali Coluzzi (chitarra): «Ci piacerebbe di più continuare a lavorare su pezzi nostri, originali.»
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