Dai Goodwines a Nation of Giants cos’è cambiato?
Oggi siamo la metà, è stato un processo naturale che ci ha portato ad allontanarci e ridurre drasticamente la formazione. I Goodwines sono naufragati a causa di una rottura a livello artistico: non eravamo più d’accordo. Oggi suoniamo musica più sperimentale, con arrangiamenti molto meno rigidi.
State per pubblicare un full album, ce ne parlate?
Sarà un full album perché in frigo abbiamo un centinaio di pezzi e ne volevamo tirare fuori una buona parte. Si chiamerà Quizzlo Cazorla, il perché è e rimarrà un mistero, anche per noi. Quizzlo, KU è un idolo pagano hawaiano a cui dedichiamo sacrifici di wiskey e rame.
Nell’ascoltarvi si percepisce una certa libertà: è davvero così?
Si, la cerchiamo molto la libertà. Ci ha aiutato avere delle provenienze e delle formazioni musicali distanti. Questo con i Goodwines non succedeva, eravamo sei persone che andavano in direzioni troppo diverse, dei six wild horses.
Nonostante non abbiate un genere di riferimento sapete molto di America. Come mai?
L’ispirazione è sicuramente quella, da tutti i punti di vista è la musica su cui pone le basi il sound che ricerchiamo, seppur si avvertono le prepotenti influenze british di Mattia, e le contaminazioni dei riferimenti di noi tutti.
Vi sentite completi con una formazione di soli tre elementi?
Il 95% delle volte si, perché il sound funziona anche se in alcuni arrangiamenti si percepisce l’assenza di un basso. Il vero problema è che non troviamo un bassista che guardi nella stessa nostra prospettiva, che sposi il nostro progetto, le nostre idee. Non ci basta sia bravo, vogliamo sia affine a noi.
Definite la vostra musica sfacciatamente fuori moda: è una consapevolezza o una presa di posizione?
E’ una consapevolezza, vediamo ciò che funziona in giro, e noi non suoniamo così, suoniamo quello che ci piace. Nell’ambito rock quello che funziona sono le Indie Band, noi siamo difficili da inquadrare, siamo molto sporchi, ma non indie.
Da Milano alla provincia romana, come mai?
Non ci ricordiamo di come siamo arrivati a Radio Libera Tutti e a In the grove, ma ci siamo arrivati ed è stata una piacevole sorpresa.
Com’è il panorama artistico milanese?
Da quel che abbiamo capito c’è una scena indie molto in fermento, lo spazio per noi c’è, ma non è quello che vorremmo. Live suoniamo solo da gennaio, perché abbiamo dedicato molto tempo alla scrittura a scapito del booking ma anche perché non abbiamo trovato il contenitore fatto su misura per noi. Poi esistono eventi come In the grove: ci siamo innamorati del progetto, della location, della professionalità, di voi.
Pensate che vi sia spazio per la musica indipendente?
Poco, band che escono fuori dal mondo dei live e arrivano in tv non ce ne sono. Il rock’n’roll poi non è assolutamente un genere semplice da portare mainstream. In California c’è un sottobosco più vivo, suonare live ha la stessa risonanza o quasi di apparire su un canale televisivo, sono due strade parallele adatte a generi diversi.
Festival vs talent, qual è la vostra opinione in merito?
I festival sono un’ottima occasione, di crescita personale, artistica, di visibilità. I talent citando Tom Petty, sono preoccupanti. E’ preoccupante pensare che ci sia bisogno di un gioco televisivo per far uscir fuori un artista, un talento di cartone opera di un’operazione commerciale, ma tutto questo è figlio dei nostri anni. Steven Tyler (frontman Aerosmith, giudice di America Idol, nda) dichiara che ai suoi tempi non l’avrebbe fatto, ma oggi c’è troppa concorrenza. Tutti o quasi ci provano, i mezzi sono molto più democratici, ma non tutti i vincitori dei talent sono improvvisati, anzi. Noi crediamo ancora nella vecchia scuola, fatta di ore e ore in sala, live e gavetta, the old fashion way. Prima avevamo il mito del successo, volevamo arrivare, prima di tutto. Oggi vogliamo realizzarci artisticamente, personalmente, è un bisogno più che un obiettivo.
www.facebook.com/NationOfGiants