Il nuovo album Folfiri e Folfox è stato una sorpresa.
Le aspettative erano ai minimi storici. Colpa di Padania(penultimoconcept albumfortemente politico) e dei primi due estratti, Il mio popolo si fa e Non voglio ritrovare il tuo nome (sui quali però ci sarà da riflettere).
Arriviamo all'ippodromo di Capannelle alle nove. "Allora Folfiri o Folfox non è piaciuto solo a noi" esclamiamo notando la folla. Oppure si tratta di qualcosa legato maggiormente alla nostalgia e alla fedeltà, dato che il fandom è sterminato e c'è chi viene solo per riascoltare dal vivo classici come Male di miele o La vedova bianca? Il dubbio viene, perchè l'ultimo lavoro della band milanese si fonda sulla necessità di ascolti reiterati, è complesso, stratificato, unisce melodie convenzionali a furiose cavalcate dissonanti, anche all'interno dello stesso brano. Non si tratta di un disco di facile presa, può apparire confuso e logorroico (diciotto canzoni), ma soprattutto parla di morte, di malattia e di lutto (tre giganteschi tabù al di fuori della narrazionemanistream, non solo musicale), pur riservando un insperato spiraglio di luce. O forse no? Magari siamo circondati invece proprio da chi, come noi, ha avuto la pazienza di immergersi in un punto di vista (tanto artistico quanto umano) sofferente ma potentemente liberatorio, oltre che indubbiamente maturo e consapevole.
Le luci si spengono cinque minuti dopo le 21:45, orario d'inizio previsto. Come nelle date precedenti, entra soltanto Manuel Agnelli, voce e leader degli Afterhours da quasi trent'anni, e comincia a cantare Grande accompagnandosi con la chitarra acustica. È il brano che apre il nuovo album, una ballata che inizia con un semplice chitarra/voce per poi arricchirsi del contributo della band. Che infatti dopo qualche istante fa il suo ingresso sul palco esplodendo in un incedere lento e cadenzato che lascerà il posto, infine, nuovamente alla chitarra e alla voce di Agnelli. Si tratta senza dubbio della canzone piú intensa e intima di Folfiri o Folfox. Il pubblico approva, dopo aver cantato quasi tutto il testo.
Si prosegue con altre tre canzoni del nuovo lavoro, tra cui il singolo Non voglio ritrovare il tuo nome, preceduto da una breve introduzione del cantante sulla necessitá di "chiudere dei cerchi per aprirne di nuovi". Notiamo che rendono molto bene dal vivo, compresa Il mio popolo si fa di cui temevamo che la ritmica atipica e cacofonica mal si adeguasse alla dimensione live.Ecco quindi che giungiamo ad affrontare la questione accennata all'inizio su questi due pezzi, primi estratti che hanno anticipato l'uscita dell'album: inizialmente accolti con riserva, grazie ai successivi ascolti rivelano invece la loro grandezza nelle parole, criticando spietatamente le false libertà dell'italiano medio, da una parte, e maturando la consapevolezza di dover chiudere una relazione sentimentale, dall'altra. Ciò che a un primo ascolto sembrava addirittura banale, col tempo lascia trasparire una solida capacità analitica e introspettiva. Anche in questo caso, il pubblico romano conosce già i testi.
Rodrigo D'Erasmo passa dalle tastiere al violino, Agnelli lascia l'acustica per l'elettrica e si torna al 2005 con Ballata per la mia piccola iena. Poi, a sorpresa, si continua con Varanasy baby (Quello che non c'è,2001),dal testo quasi recitato, che ben si concilia con l'anima funerea di Folfiri o Folfox.
Il concerto va va avanti e in scaletta troviamo altri brani del nuovo album. Nè pani nè pesci, forse il brano piú orecchiabile, ha già il sapore dell'instant classic; Cetuximabè una divagazione strumentale e sperimentale, suonata con cattiveria e precisione, e mostra che il percorso di ricerca sonora cominciato con Padania è tutt'altro che concluso. Subito dopo si passa alla struggente L'odore della giacca di mio padre, seconda dedica del frontman al padre da poco scomparso, stavolta con la sole tastiere: un occasione per far riposare la band e ribadire l'essenza dell'ultimo lavoro. Fra i non viventi vivremo noiè probabilmente la piú trascurabile, anch'essa legata ai repentini cambi di ritmo di Padania, buona per far ballare il pubblico ma poco interessante. L'ultima canzone di Folfiri o Folfox è quasi una rivoluzione: Se io fossi il giudice chiude l'album e i nuovi brani suonati a Roma, ed è forse la prima canzone solare di Manuel Agnelli, una serena accettazione del reale, lo spiraglio di luce cui si accennava nelle prime righe. Perfetta per le radio, racchiude un testo e una melodia per la prima voltarassicuranti, l'equilibrio ritrovato alla fine di un lutto. "Oggi, svegliandomi, credevo fossi tu che mi dicevi stupido, devi tornare a vivere": siamo circondati da gente che canta in coro.
Nel mezzo e sul finale, tantissimi brani che hanno fatto la storia della band, culminati con una Bye bye Bombay iniziata con un intro inedita, ruvida e pazzesca, per un totale di oltre dieci minuti di esecuzione con tanto di cerchio e pogo sotto il palco (si è pogato anche con Riprendere Berlino,per cui lo stesso Agnelli si è detto stupito...).
Una permormance di piú di due ore che ha soddisfatto in pieno i fan, sicuramente oltre le aspettative. Gli inediti hanno funzionato e sono deflagrati piú duramente della versione in studio; i nuovi arrivi, Fabio Rondanini alla batteria, rivitalizzante, e Stefano Pilia alla chitarra non fanno rimpiangere Prette e Ciccarelli; i classici sono stati eseguiti piú solidi ed energici che mai (Strategie è sembrata piú veloce del solito). Ma soprattutto, siamo felici di raccontare che Manuel Agnelli, amato/odiato e neo-giudice di X-Factor,dopo la parentesi traballante di Padania, è tornato a fare ciò che sa fare meglio, ovvero a scrivere e a cantare di ciò che lo riguarda piú intimamente, intercettando umori e sensazioni cosí dolorosamente comuni da risultare universali. L'empatia col pubblico è stata davvero totale.
Al termine del concerto, abbiamo seguito la band all’after-show dell'Angelo Mai, dove gli Afterhours hanno chiaccherato coi fan e curato un dj-set all'insegna del meritato defaticamento. "Quello con Roma" ci ha detto il bassista Roberto Dell'Era "è un legame speciale".
Di Paolo Di Marcelli
La Scaletta:
- Grande
- Ti cambia il sapore
- Il mio popolo si fa
- Non voglio ritrovare il tuo nome
- Ballata per la mia piccola iena
- Varanasi baby
- La vedova bianca
- Padania
- Nè pani nè pesci
- Male di miele
- Cetuximab
- L'odore della giacca di mio padre
- Il sangue di Giuda
- Bungee jumping
- La sottile linea bianca
- Costruire per distruggere
- Fra i non viventi vivremo noi
- Se io fossi il giudice
Pausa
- Le veritá che ricordavo
- Riprendere Berlino
- Strategie
- Pop (una canzone pop)
- Non è per sempre
Pausa
- Quello che non c'è
- Bianca
- Voglio una pelle splendida
- Bye bye Bombay