L’ultima volta che Kristian Matsson era passato da Milano aveva proposto uno spettacolo con tanto di band d’accompagnamento. Ora è di nuovo da solo a suonare, ma ha portato con se il suo migliore amico, Markus Svenssons, nome d’arte “The Tarantula Waltz”, che apre il concerto.
L’amore e la voglia di ascoltare dal vivo questo artista è sconfinata tra gli appassionati: molti ingannano l’attesa ricordano il suo live al Magnolia nel 2013, altri quello dell’anno scorso all’Alcatraz, e altri ancora scambiano opinioni sui quattro album del musicista, l’ultimo dei quali, “Dark Bird is Home”, è uscito l’anno scorso.
Il clima del locale è però incredibilmente rilassato: sono poche le persone davanti al palco, tanto da riuscire a sistemarmi senza problemi in prima fila, e la maggior parte del pubblico resta comodamente seduta sulla gradinata del Fabrique.
Il live comincia in orario e Kristian fa il suo ingresso con grande tranquillità, iniziando con una cover di Joan Baez, “East Virginia” per poi passare a “Fields of Our Home” e subito dopo a “1904”, dove l’atmosfera sonora si sposta su ritmiche più allegre e sostenute.
Questo grande artista riesce a riempire con la sua presenza scenica non solo il palco ma l’intera sala, muovendosi a volte a scatti e a volte quasi ballando, creando una magica atmosfera. Ogni tanto intervalla le canzoni raccontando qualche storia buffa, come di una telefonata ricevuta una volta dai suoi vicini per informarlo che dei ragazzi si erano appostati davanti a casa sua e che la targa della loro auto era italiana, “Venite pure a trovarmi… solo prima informatemi!”, chiede divertito.
A metà concerto, dopo “Darkness of the Dream” arriva la ritmata “The Gardener”, Kristian si sposta alla tastiera per suonare “Little Nowhere Towns” e subito dopo “Love is All”, il suo manifesto: la musica è dolcissima, il pubblico canta commosso e ben presto la sua potenza vocale esplode. Poco dopo arriva “Rivers”, il cui video è uscito proprio pochi giorni fa.
Ma perché di nuovo solo? Ce lo spiega scherzosamente tra una canzone e l’altra, “due della band hanno deciso di fare altro, come sposarsi”, ma lui aveva voglia di suonare e di sfidare di nuovo se stesso: sul palco ci sono lui, la sua chitarra, la pedaliera, una tastiera, quattro luci e una sedia, nient’altro. Ci racconta anche della sua grande amicizia con Markus, e di averlo invitato in tour per fare musica assieme e per recuperare il loro rapporto, dedicandogli la bellissima “Time of the Blue”. Incredibile come la sua voce sia nasale quando canta e profonda quando parla.
Una canzone tira l’altra e senza neppure rendersene conto lo show si conclude con una cover di Jackson Browne, “These Days”, terminando la magia che ha tenuto il pubblico per due ore con gli occhi incollati su questo piccolo uomo, capace con la sua chitarra di trasformarsi in un gigante della musica.
The tallest man on heart : la SETLIST di Milano
East Virginia (Joan Baez cover)
Fields of our home
1904
Criminals
The wild hunt
Darkness of the dream
I won’t be found
The gardener
Little nowhere towns
Love is all
Rivers
The sparrow and the medicine
On every page
Time of the blue
There’s no leaving now
King of Spain
Dark bird is home
ENCORE:
Sagres
These days (Jackson Browne cover)