Poi la mia logorrea ha tirato una chiacchiera in un'altra e abbiamo finito col parlare della nostra cara Italia e, come al solito, ho finito col riempire di parole le sue orecchie, delle mie impressioni, delle mie considerazioni sulla società e sul mondo. Avendo con me solo carta e penna, così, alla vecchia maniera, riporterò indirettamente le risposte del cantautore.
Non parleremo della polemica sul rap che ha visto un botta e risposta di interviste del nostro interlocutore. Se ne è parlato abbastanza. Alla richiesta sulle sue valutazioni riguardo alla musica italiana indipendente di oggi, Colapesce risponde con un giudizio tutto sommato positivo, anche se individua delle falle nel sistema: si tratta di un ambiente prolifico, in cui è avvenuta una rivalutazione e una ripresa della lingua italiana abbandonata soprattutto negli anni Novanta, quando ha prevalso una tendenza anglofona. Oggi sembra un po' ripercorrersi, nello spirito cantautoriale, quello degli anni Settanta: giovani insoddisfatti della società e della loro vita al suo interno danno voce a questo disagio collettivo. Ma il concetto di etichetta che vi era allora è assai lontano da oggi: è un concetto obsoleto. Prima chi registrava faceva parte di un' élite: era molto costoso produrre un album e questo significava anche una selezione attenta dei cantanti da promuovere. Ora siamo nell'era digitale, quella che permette l' home recording: tutti sono in grado di farsi conoscere, di registrare in proprio ad un costo irrisorio, ma questo determina, a volte, anche un abbassamento della qualità del suono registrato. L'aspetto positivo per l'accessibilità si fa poi negativo per la quantità: tantissimi sono coloro che si dedicano alla musica e che si propongono al pubblico, ma pochi hanno davvero il desiderio, che porta impegno e sacrificio, di arrivare a determinati livelli artistici.
Ultimamente la SIAE è stata oggetto di proposte di revisione, di lamentele: è davvero una garanzia al diritto intellettuale o una gabbia, una cerchia chiusa? Il cantautore siracusano crede che purtroppo non se ne possa fare a meno: rimane l'unico modo per tutelare il diritto del cantautore. Tuttavia essa ha un monopolio assoluto con delle leggi «assurde» (così le definisce), come quella per cui se ci sono errori nel borderaux, se saltano per un qualsiasi motivo le serate, i proventi vanno ai soli soci di maggioranza. Inoltre è poco chiara su tante cose. Non c'è una regolamentazione sulle visualizzazioni su youtube, che sono comunque delle riproduzioni. Rimane che la SIAE è difficile da controllare: non sono verificabili gli elenchi dei passaggi in radio per i manager. Ma quale può essere l' alternativa per adesso?
Passando dal generale al particolare, mi soffermo sulla sua musica, sulle parole che usa. In una sua canzone parla di barbari che stanno per arrivare. Ebbene, l'interpretazione effettivamente è facile ma ne chiedo comunque conferma. L'ottengo. I barbari sono i borghesi, quella classe che ci governa da venti anni e che occupa tutti i piani alti della società. L'ispirazione dell'analogia tra barbari e classe dirigente gli deriva da un film degli anni Ottanta, Society di Brian Yuzna, che mi invita a vedere anche se, ammette, non è un film di quelli necessari alla cultura individuale. Le immagini del suo testo derivano comunque da lì. Il film tratta infatti di una nicchia di borghesi che una volta al mese si riunisce per mangiare un uomo non appartenente al gruppo. E parlando del film e della nostra classe politica ci perdiamo in chiacchiere, passando dalle università, alle Hogan dei “bocconiani”, alla fuga dei cervelli che si ritrovano comunque a fare i camerieri (cosa che potevano fare anche senza emigrare) e al passare dai blog trotskitzi a quelli dei grillini nel cercare la propria anima persa; fino a discutere della democrazia e a questo punto la sua affermazione l'ho trascritta e ve la riporto direttamente: «La democrazia è un concetto talmente bello che l'italiano non può recepirlo; non siamo ancora pronti». Una visione non proprio felice della condizione dei compatrioti, ma ancora più infelice è quella dei giovani italiani. Colapesce ritiene che la nostra generazione (tra i venti e i trenta anni) sia la prima generazione che non abbia speranze, ideali, voglia di combattere. Il Novecento è stato il secolo dei giovani: hanno lottato, hanno costruito e hanno ricostruito; sono stati i protagonisti di quel secolo. Noi? Oggi? Che siamo? Disperati, fondamentalmente (questa è una mia amara considerazione però: v'ho scritto che ho parlato anche io; forse più io....). Lorenzo (questo il nome all'anagrafe) si rammarica della mancanza di volontà, di passione che percepisce propria di questa società: «siamo degli zombie», pieni di desideri fittizi; manchiamo di senso della realtà. Ma la risposta a tutto ciò non è la fuga all'estero, bisognerebbe reagire piuttosto che abbandonare. Così dice.
Gli chiedo infine qual è il momento in cui s'illumina e la notte sembra non esserci stata mai, per parafrasare un altro suo brano. Si sofferma nei suoi pensieri, ci pensa. Mi dice che non s'aspettava questa domanda. Poi, come illuminato davvero, risponde: «la gioia che provo con alcuna musica, la passione per le cose». È in quel momento che passa la notte e il giorno rinasce con tutta la sua luce.
Ma nella canzone alla quale faccio riferimento è anche il mare a presentarsi in maniera preponderante e allora voglio sapere quanto mare c'è nella sua fantasia, quanto la alimenta. Per lui è tutto. Ogni estate andava dai nonni a Ognina, l'isola di Siracusa: da maggio a settembre era quello del mare il profumo che respirava; il mare era il suo compagno ed è di lui che ha il desiderio. Uno tra i suoi sogni, non a caso, è avere una barca.
Colapesce nasce nel 2010, dopo aver fatto parte del gruppo Albanopawer. Con l'album Un meraviglioso declino, uscito nel 2012 vince la Targa Tenco come migliore opera prima. Ha collaborato con Meg, di cui nota è la versione del brano Satellite.