Per l'occasione abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui, inoltre ha eseguito dal vivo in acustico alcuni brani estratti da questo nuovo lavoro.
"Non fate caso al sorriso": perché non dobbiamo fare caso al sorriso?
«E' tutto nato più o meno due anni e mezzo fa, quando Il Branco non aveva fatto nemmeno il suo primo EP. Avevamo una foto in cui c'eravamo io e Francesco (tastierista, scrittore dei testi e co-fondatore insieme a me della band) scattata casualmente da un nostro amico o dalla mia fidanzata (non se lo ricorda nessuno). In primo piano c'era Francesco, colpito da un raggio di luce casualissimo. E questo raggio di luce è stata l'illuminazione, noi l'abbiamo battezzato come l'illuminazione nostra e in quel momento è nata l'idea de Il Branco. C'era una sorta di sorriso sia sulla mia faccia, sia sulla sua faccia. E da lì è venuto naturale dire che il nostro primo album avrebbe dovuto chiamarsi "Non fate caso al sorriso". "Non fate caso al sorriso" da quell'aneddoto è diventata una constatazione: "non fate caso al sorriso", ossia vi fermate solo alla prima occhiata e non vedete cosa c'è dietro, contemporaneamente è un invito, ossia "ragazzi, non fate caso al sorriso ma vedete cos'altro c'è".»
La copertina all'apparenza non c'entra nulla con il titolo: perché questa immagine?
«La copertina è stata realizzata da Versus, un collettivo di due artisti visivi: Cristiano Carotti e Desiderio. La copertina è una libera interpretazione loro del titolo. Hanno preso questa ragazza, l'hanno fatta sdraiare a terra e le hanno fatto una foto che la ritrae quasi in punto di morte oppure svenuta, a seguito di un incidente, con questo casco con la visiera spaccata. Sotto c'è scritto "Non fate caso al sorriso" con il font dei pacchetti delle sigarette. Come potete capire, è oggetto di libera interpretazione da chiunque. Potrebbe essere interpretato così: "questa ragazza sta per morire, però ride, ridacchia, non si capisce". Oppure potrebbe essere il particolare di una scena ancora più grande perchè c'è la scritta. E' giusto lasciare libera interpretazione a chi vede la copertina o a chi ascolta il disco. Per noi l'interpretazione deriva dall'aneddoto di prima, per chi ha realizzato la copertina invece è una ragazza che, anche in punto di morte, ha un accenno di sorriso. Poi ognuno ha la sua chiave di interpretazione.»
"Via Boncompagni" è il primo singolo estratto da questo disco. Di cosa parla? Esiste davvero questa via?
«Esiste. Via Boncompagni è una via che si trova al centro di Roma in cui abita Francesco, il tastierista. Spero che non mi distrugga per aver detto questo, mi immagino già gente che va a suonargli il campanello (ride NdR). "Via Boncompagni" è il singolo che abbiamo deciso di far uscire perché è dove ha preso vita Il Branco, le prime prove. Quando ancora eravamo in due: chitarra acustica, voce e tastiera sono state fatte lì, di notte, con la gente che ci urlava "basta musica!". E' uno dei pezzi più autobiografici della band. Ascoltando la musica e leggendo il testo si può sintetizzare quello che è Il Branco adesso e quella che è la brevissima storia de Il Branco. Si tratta di uno spazio molto stretto nel quale vivere, nel quale avere una vita sociale, nel quale sviluppare se stessi, crescere. Il tutto termina in un ritornello che è una sorta di constatazione non amichevole in cui la voce dice "e non è facile parlare, se non voglio parlare" e lo ripete. Quasi un controsenso: se non voglio parlare, te lo dico mille volte, un po' come Max Gazzè in "Cara Valentina". Di comune accordo, abbiamo deciso che "Via Boncompagni" è il singolo che doveva uscire perché è il pezzo più sintetico della storia de Il Branco. Non che gli altri pezzi non ci rappresentino, ma questo pezzo ci rappresenta più degli altri.»
Quali sono i riferimenti musicali del gruppo?
«Molteplici. Per quanto riguarda il canto, non ho particolari riferimenti. Ho riferimenti per quanto riguarda la musica. Amo i Nirvana, tutta la parte americana degli anni '90 quindi Rage Against The Machine, Queens Of The Stone Age. In Italia, mi piacciono tantissimo i Verdena, gli Afterhours, i Marlene Kuntz. Tra gli ultimi usciti, posso dirvi i Soviet Soviet e i Voina (prima si chiamavano Voina Hen) che sono molto interessanti, i Fast Animals And Slow Kids che sono della nostra terra originaria. Qualcuno, per via della mia voce, ci ha avvicinato a Rino Gaetano perché c'è questo timbro "grattato". Amo Rino Gaetano e apprezzo tantissimo, ma non mi sono mai ispirato a lui nel canto. Vocalmente apprezzo tanto Sting che fa tutt'altro. Poi ci sono le fonti degli altri, di Francesco alle tastiere e di Leonardo alla batteria, che sono completamente diverse dalle mie. Si va dal punk italiano al brit rock/brit pop. C'è di tutto.»
Francesca Marini