Un lavoro introspettivo che trascende i generi e che invita a riflettere sulla società di oggi.
Perchè "Proximo"?
«Non c'è un motivo particolare. Deriva da una scritta che mi è capitato di vedere l'anno scorso su un muro qui a Bologna, la mia città. "Futuro Proximo" non ha tanti significati e contemporaneamente ne ha molti. Viviamo in un'epoca in cui il futuro è sempre alla ricerca di una risposta. E' come se avessi voluto cogliere la palla al balzo e accaparrarmi di questa scritta sul muro che ho visto qui in città e che mi è piaciuta tantissimo. Quindi alla fine l'album si è chiamato così senza una ragione particolarmente profonda.»
Dal rock al jazz, dal cantautorato al (oserei dire) progressive: l'ispirazione per quanto riguarda la composizione dei brani del disco da dove è arrivata? In particolare per quanto riguarda "Ieri nel futuro proximo" che è una traccia solo strumentale che unisce vari elementi di vari generi.
«C'è poco da dire. Nella fase che precede la scrittura di un disco, come nella vita, tutto accade. Non è facile commentare quello che si è registrato, quello che si è contenuto in un disco, anziché in un altro. Diciamo che è un flusso di coscienza legato alla musica che ha un'inizio e una fine legati al concepimento dell'album. Io, quando comincio a buttar giù materiale per il disco successivo, sono molto confuso, devo ammetterlo. Non so mai da dove partire. Ma forse questo è anche un valore aggiunto: vuol dire avere una visione molto libera e contemporaneamente molto disinteressata e non legata a qualcosa di predefinito. Molte cose partono anche da brani tralasciati dal disco precedente. Può capitare di ripescare qualcosa dell'album precedente, probabilmente in una nuova veste. E' accaduto anche per "Futuro Proximo": avevo questo brano, "Diciannove minuti", che alla fine non è stato incluso neanche qui. Le piccole curiosità che capitano nel lavoro di pre-produzione.»
In "Alba boreale" (primo singolo estratto da questo disco) si apre uno scenario in un certo senso post-apocalittico. Come dovrebbe essere secondo te questa "Alba boreale"?
«Per "Alba boreale" ho inteso quella che sarà l'alba di domani che potrebbe accadere anche nella vita di tutti i giorni.»
Gli ascolti di Umberto Maria Giardini: cosa ascolti nel tempo libero e quali dischi sta aspettando in questo 2017 che si annuncia pieno di musica?
«Nel 2017 sto rispolverando molti dischi degli anni ottanta, della mia adolescenza: Smiths e numerose altre band della scena new wave di quegli anni, provenienti dall'Inghilterra. Ascolto i Radiohead e la musica classica. Mi dedico poco alla musica rock e alla musica indipendente.»
Come vedi il "Futuro Proximo" di questo Paese, soprattutto per quanto riguarda la musica?
«Penso che il Paese sia regredito tantissimo dal punto di vista culturale e quindi anche musicale. La musica è sempre lo specchio della società di quel determinato periodo storico. Oggi rispecchia più che mai quello che stiamo vivendo: una grande confusione, una grande mancanza di valori. E' una società legata alla rete. C'è un approccio superfluo e scadente da parte degli ascoltatori, soprattutto delle nuove generazioni: sono convinti di saperne sempre di più, ma la realtà non è questa, anzi è il contrario. La rete ha velocizzato le nostre vite e in qualche modo le ha semplificate, ma d'altra parte c'è da pagare il pegno. La rete è estremamente sterile, povera e priva di significato e di ricerca. Ha dato tanto, ma ha tolto anche tanto.»
Di Francesca Marini