Proprio quel giorno è uscito il loro nuovo album, il settimo in studio, "Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin", un misterioso viaggio alla scoperta del lato nascosto di noi stessi.
Come nasce l'idea di un disco del genere?
«Il disco è nato da alcune registrazioni che abbiamo effettuato principalmente a Bologna nella primavera del 2015, in questo studio che si chiama Vacuum Studio di proprietà di Bruno Germano che è il co-produttore del disco insieme a noi. Abbiamo suonato liberamente, è una cosa che facciamo sempre più spesso negli ultimi anni nella fase di creazione dei nostri dischi. Sono scaturite diverse ore di musica nate in forma libera che poi abbiamo riascoltato a distanza e abbiamo selezionato, individuando i momenti che ci sembravano più salienti sui quali poi siamo tornati per rielaborarli. Alla fine abbiamo ottenuto otto brani che sono poi finiti sul disco. Tutto questo lo abbiamo fatto in collaborazione con Chris Reeder e John O' Carrol della Rocket Recordings, l'etichetta inglese che ha pubblicato l'album e con cui ci siamo confrontati per capire quali fossero le cose migliori da sviluppare, a partire dalle registrazioni che avevamo fatto.»
Chi è il "demone gemello"?
«Il titolo nasce da una citazione di un brano di Frank Zappa, "Invocation And Ritual Dance Of The Young Pumpkin". Ci piaceva tenere la formula "Invocation And Ritual Dance" e, dopo un brainstorming collettivo, abbiamo pensato a questa figura del demone gemello che viene appunto invocato. Nella nostra musica le interpretazioni possono essere tante. Noi cerchiamo sempre di evitare di dare spiegazioni dettagliate, vogliamo lasciare i nostri ascoltatori liberi di interpretare secondo i propri sentimenti, le proprie emozioni. In linea di massima ci piaceva sottolineare il concetto del doppio: il gemello è legato alla dualità, una dualità in qualche modo oscura che non va intesa come demoniaca. E' più legato al concetto del daimon greco. E' una sorta di rispecchiamento che ogni individuo ritrova nell'altro, ma è un "altro" che è dentro noi stessi. Una dualità con cui abbiamo a che fare costantemente, che può essere legata all'inconscio.»
Se dovessi definire con una parola la musica che fai, quale sarebbe questa parola?
«La parola che ricorre spesso nelle recensioni che sono uscite in questi giorni è "psichedelia". Noi stessi spesso ci ritroviamo a spiegare che la psichedelia noi non la intendiamo come una fedeltà ad un genere musicale, ma più una sorta di approccio. Nei nostri dischi ci sono tante cose che esulano da un genere musicale specifico. Forse il termine "psichedelia" è quello che ci può definire meglio oggi.»
Cosa ascoltano i Julie's Haircut?
«Noi ascoltiamo tutto. Ognuno di noi ha gusti molto variegati. Ci sono ovviamente degli ascolti che si incrociano, delle passioni in comune. Poi però ognuno ha i suoi interessi, i suoi amori. Non mi sentirei di escludere nulla dallo spettro delle cose che ci influenzano, anche indirettamente. Posso parlare per me e ti direi i Beach Boys.»
Di Francesca Marini.