Sono le ventuno e quindici e il pubblico in sala, dal conforto della propria poltroncina rossa, si ritrova a sprofondare in un muro di suono, una tempesta, fatta di beat, lamenti e coni di luce che si stagliano su un palco abitato da figure nere. In quei minuti iniziali siamo tutti precipitati in una dimensione ben precisa, che non ci fa dubitare del qui ed ora, ma oscura, talmente oscura da rendere difficile ogni qualsiasi categorizzazione. Non a casoNowhere è il titolo del pezzo con cui Dillon apre le porte del proprio cosmo. Un immaginario sonoro che oscilla tra le due declinazioni della parola nowhere: now here - no where.
Il pubblico sin da subito intuisce di essere di fronte ad uno show intenso che richiede attenzione e impegno emotivo. È espressione in bilico quella di Dillon, timida e rassicurante, coraggiosa e spiazzante, che si sublima nell’intensità dei “grazie” rivolti al suo pubblico.
Su quel palco, però, la singer/songwriter tedesca di origini brasiliane, non è sola. Dillon si impone accompagnata dall’intensità espressiva di un coro, composto da 12 donne in grado di creareuna dimensione ulteriore,capace di inserirsi nello spazio tra la musica elettronica di Tamer Fahri Özgönenc, fatta di suoni primordiali, il pianoforte e l'incredibile voce di Dillon.
Quella all’Auditorium è stata la data zero per la talentuosa cantautrice che, nella cornice di Sala Petrassi, ha iniziato a raccontare, insieme al compositore Tamer Fahri Özgönenc, una favola minimale, un universo etereo, composto di elettronica e pop emancipato. La suggestione del ritrovarsi su un palco dopo due anni di silenzio è tuttavia sfumata per Dillon, che a poco a poco, nel susseguirsi delle performance, è stata capace di condurre con eleganza tutto il pubblico in sala, lì, vicino a lei e al suo pianoforte.
“ This one is just for you” queste le parole con cui Dillon ha regalato alla sua platea Thirteen Thirtyfive, il suo pezzo più famoso, al quale è seguito Your Flesh Against Mine, nella quale i timbri scuri, soffio vitale del sound della cantautrice Brasiliana, hanno aperto le porte ad un piccolo, sottilissimo spiraglio di luce.
Si era di fronte ad un’artista in grado di ascoltarsi e di atteggiarsi allo stesso tempo, a fonte di arte e sua destinataria. Quella all’ Auditorum con Dillon è così diventata un’esperienza sensoriale, in cui il suono sembrava esser diventato tridimensionale, in grado cioè di attribuire una dimensione fisica ad un’esperienza emotiva . Nel suo abito nero impreziosito da trasparenze, infatti Dillon muoveva le sue mani e le sue braccia come se potesse toccarlo quel suono intorno a sè, come se potesse spezzarlo, accompagnarlo, custodirlo.
The Silence Kills The Unknown Tour già dalla sua prima data di Roma si annuncia come esperienza di solidarietà, di anime in grado di condividere, insomma, un’umana dimostrazione di unione, che ha raggiunto la sua espressione più alta e intima nella performance di Tip Tapping, in cui la cantautrice, come una direttrice d’orchestra ha messo in atto una loop station umana costituita dalla sua voce, quella del coro e quella del pubblico, improvvisamente protagonista.
Dillon giovedì sera pur nell’oscurità del suo universo ci ha illuminato. La leggerezza e la profondità della sua voce e del suo sound primordiale, ci hanno fatto approcciare una dimensione celestiale in cui la sua anima introversa si è fluidificata, per aprirsi e condividersi senza vergogna.
SCALETTA:
Nowhere
From One to Six Hundred Kilometers
A Matter of Time
You Cover Me
You Are My Winter
Thirteen Thirtyfive
Your Flesh Against Mine
Tip Tapping
Gumache
Unknown
This Silence Kills
Don’t Go
Lightning Sparked
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Abrupt Clarity
Di Martina Petrucci