Giovedì sera scorso, la sede per il culto di questo spiraglio diumanità è stato il MONK di Roma pervasoda eclettismo, eterogeneità e ricchezza a partire dal pubblico internazionale.
Alle ventidue e quarantacinque i Notwist impacciati e occhialuti erano prontiper abbandonarsi al loro pubblico in occasione della seconda data del loro tour in Italia, che consacra la pubblicazione dell’album live Superheroes, Ghostvillains & Stuff, uscito ad ottobre per Sub Pop.
Si sono presentati sul palco ben lontani dall’immaginario comune delle rockstar, quasi inespressivi, un po’ granitici, ma è il suono che conta, le canzoni contano e loro di queste massime ne sono sempre stati l' espressione, anche questa volta. Come quando si provanoemozioni e sensazioni che nemmeno la più sconosciuta delle parole sul dizionario riuscirebbe a descrivere perfettamente, così i Notwist hanno trascinato il Monk di Roma in una giostra liquida in continua evoluzione in cui il kraut è diventato rock, che è diventatopunk, che è diventato fusion, che è diventato l’elettronica berlinese e che rimane impossibile cristallizzare in una parola che riesca a definirli. Ma è da mediocri etichettare.
Etichettare è per chi ha paura dei propri limiti e i Notwist giovedì sera hanno gettato un ramo di speranza nelle paure di quel pubblico, invorticandoli in una miscela di melodie, beat e cantati malinconici indimenticabili, con lunghe e sinuose code strumentali, disturbanti e intrise di sfrigolii noise irrazionali.
I fratelli Acher insieme ai loro compagni di viaggio, polistrumentisti, erano indomabili, nella loro staticità corporea, sembravano voler cantare quasi un inno alla timidezza, che alle volte può significare tumulto emotivo più di qualsiasi altra superficiale spigliatezza.
Il concerto inizia con “Signals” la cui coda lunga e sinuosa si aggancia a “Come In”, per esplodere a metà live set con una“Into Another Tune” onirica, ma devastante a tal punto da gettare il pubblico in un universo trance. Già a metà concerto i Notwist dimostrano di essere alla ricerca costante di un dialogo con se stessi, potrebbero fare qualsiasi cosa su quel palco, addirittura trovare punti di incontro tra il cantautorato folk alla dylan e l’elettronica berlinese senza che nessuno se ne accorga. Dimostrano, infatti, il genio di chi è in grado di miscelare elementi ordinariamente inconiugabili rendendoli comprensibili, ma nuovi e unici.
Giovedì sera, I Notwist hanno raccontato una storia che dentro di se ne raccoglieva infinite altre, hanno dimostrato che la loro sete di ricerca ha come limiti soltanto quelli della loro creatività e amore per la musica, nessuna convenzione abita in loro, anche su quel palco improvvisando e lanciandosi in pezzi psichedelici, elettronici, a tratti punk, a tratti pop, in cui i suoni di synth e chitarre acide innalzavano il grado tensione a livelli stellari. Dopo un paio di tracce ad alta carica rock che hanno reso giustizia alle loro origini hardcore-punk, il pubblico affezionato è esploso nel ritornello di “pilot” la seconda traccia del loro capolavoro “Neon Golden”. Le luci si spengono e la coda sonora di pilot si insegue, ma la bomba emotiva deve ancora esplodere. Risalgono sul palco e tra i quattro pezzi che eseguono per salutare Roma, “Consquence” ha la capacità di annullare tutta la tensione precedente, di trasformarla in accettazione, consapevolezza e lacrime.
La scaletta:
Signals
Come In
Kong Boneless
Into Another Tune
Trashing Days
This Room
Puzzle
The Devil, You + Me
Run Run Run
One With the Freaks
Pilot
Encore:
Pick Up the Phone
Gravity
Consequence
Gone Gone Gone
Di Martina Petrucci