Verrà? In che condizioni sarà? Vado non vado? Questo è il solito dubbio che in più di qualche amante di Doherty affiora nella mente.
Noi invece non ci siamo posti il dubbio. In fondo per quanto ci riguarda pensiamo che il nostro vada preso così e che tutto sommato se non hai mai preso un pacco da Pete non sei davvero nessuno! Le cronache tutto sommato ci narravano di un quarantenne ( spente le candeline a marzo scorso) in discreta forma e a cui la disintossicazione in terra Thailandese avesse fatto bene.
Chi vi scrive l’ha ascoltato dal vivo con i suoi The Libertines quando Pete giocava in casa, con i Babyshambles a Roma al Palatenda sulla Prenestina ( esisterà ancora?) e all’ Atlantico per il suo Grace /Wastelands , il disco solista dato poco prima alle stampe. Poi così per inciso mi sono pure beccato due cancellazioni last minute eh, a quello non si sfugge.
Per me il talento c’è e lasciare la mano a Pete non è mai un guadagno c’è sempre il rischio che ti sorprenda … anche in senso positivo.
E’ lo stesso che avranno pensato i ragazzi di Social Park ( Grazie! grazie! grazie! ). Loro e chi c’era, hanno avuto ragione a dispetto dei maligni, dei pantofolai, dei sedicenti appassionati di musica che sta magia se la godono solo sulla radio in macchina o guardando X Factor.
E’ andato tutto a meraviglia a pochi passi da Ponte Milvio ma andiamo per passi. Sono tre le band che apriranno la serata di Peter Doherty. Si parte alle 22.00 con i White Def: i ragazzi non sono malvagi ma certo la resa dal vivo è da migliorare.
A seguire i ritmi si alzano e di molto con i Red Bricks Foundation, un giovane quintetto di Montemario davvero in palla e con il frontman vero animale da palcoscenico. Canzoni in cui i testi variano tra italiano ed inglese con tanta energia ed un pacchetto live già spendibile al meglio.
E’ poi la volta di un’altra band romana di cui avevamo sentito parlare e ascoltato già qualcosa. Se sei un musicista vero la differenza però la fai sul palco. E’ questo il caso dei VANBASTEN, “figli della strada e cresciuti a pane e calcetto” è così che si definiscono. La band spacca e trova ancora una volta nel suo leader e voce ( Carlo Alberto Moretti), l’immagine giusta che con carisma e piglio deciso prende per mano gli ascoltatori durante un set tiratissimo: chapeaux.
Ecco che finalmente arriva il momento dell’ headliner ma Pete non sarebbe Pete se qualche variazione sulla tabella di marcia non arrivasse. Erano annunciati anche i The Puta Madres, il gruppo con cui a fine aprile ha sfornato il suo ultimo lavoro e che avrebbero dovuto accompagnarlo qui e a Cesena nel mini tour italiano. Invece di loro non c’è traccia.
Ci diamo pace presto perchè stasera Pete sta tirato a lucido. Appena un pò sovrappeso ( dimenticate lo stilosissimo skinny Pete dei good old days), il cantante indossa per l’occasione una maglia della nazionale di Calcio Italiana anni ’90, la Diadora di Baggio per intenderci e a me già così mi si ha conquistato …
Capelli grigi sì, ma voce “ giovane” però: così limpida forse non l’ho mai ascoltata. Si vede che ha voglia di suonare e far felice chi gli ha dato fiducia ancora una volta. Il cantante di Hexham pesca in tutto il suo repertorio, solista e band, ma non gli basta. La scaletta ce l’ha in testa forse ma chiede costantemente a chi ha davanti cosa voglia sentire. E’ così che arrivano tra le altre Fuck Forever, What Katie Did, Sheepskin Tearaway, Music When the lights goes out, What a Waster, Gunga Din, Back from the Dead…
L’amore che riversa sul pubblico è ricambiato. C’è una ragazza che si sposerà tra qualche giorno e che gli ha scritto su un cartello che prima della data fatidica vorrebbe un suo bacio: eccola accontentata. Il contatto con le prime linee è frizzante. Scattano selfie, strette di mano e qualche autografo volante. Non è un paraculo Pete, tutto tranne quello gli si può dire. E’ un generoso se sta bene e lo si percepisce ad occhio nudo.
Arriva la classica Union Jack lanciata dal pubblico ed anche una catenina regalo.
Quando abbiamo varcato abbondantemente la mezzanotte avverte: ho bisogno di 5/6 minuti e torno, non abbiamo finito.
Saranno qualcuno di più ma gli giovano. Anche questi tempi lunghi danno l’idea di un concerto diverso. Un pò come se si fosse tra amici e non tra “clienti” paganti.
Quando si chiude con “Down in Albion” dopo anche una cover di “Hit the road, Jack”, sono trascorsi almeno un’ora e quarantacinque minuti di grande musica. Andiamo via felici e allo stesso tempo ancora in astinenza. Ci è sembrato di aver assistito a quello che avrebbe tranquillamente potuto essere il suo Unplugged in Rome, l’esibizione che merita il cd insomma.
Se cadi puoi sempre risollevarti. Se non vali niente non puoi farci nulla invece. Per fortuna che Pete quanto alla seconda affermazione è totalmente estraneo.
Grazie a lui per una serata da non dimenticare e grazie a Social Park che c’ha creduto e che c’ha regalato un live così in un luogo di Roma in cui ascoltare qualcosa al fresco, persino in questi giorni di canicola, è possibile.
Di Alessandro Giglio