Hai iniziato con il folk di Johnny Cash e di Bob Dylan. Quali altri chitarristi hanno influenzato il tuo stile?
«Sì, prima ero molto influenzato da Johnny Cash e da Bob Dylan. Come anche dai grandi cantautori italiani come Piero Ciampi e De André che neanche si conoscono. O meglio, De André si conosce ma Piero Ciampi molto di meno. E quindi ho scritto un brano, "Livorno", che parla di questa città vista con gli occhi di Piero Ciampi. Paragono Livorno ad una donna bellissima che non mi dirà mai "ti amo" perché ci sono sempre altri uomini in mezzo (ride NdR). Credo una cosa in quello che faccio: quando ascolti la musica del mondo, tutto diventa magia. E questa è una cosa bellissima.»
Nei tuoi testi si avverte una spiccata ironia, un tono molto sarcastico e quasi tagliente. Da dove trai ispirazione per questi testi?
«Io non sono il protagonista dei miei testi. A me piace restare in un angolino lì a guardare le persone. I protagonisti siete voi. C'era Kubrick che una volta faceva queste cose (ride NdR). L'ironia in realtà è una qualità che abbiamo tutti. Monicelli mi ha insegnato a scrivere e lui parlava della triste euforia: faceva diventare allegra qualsiasi situazione triste.»
Ti senti più un cantautore o un musicista? Per te nascono prima le parole e la musica viene dopo oppure nascono insieme?
«Nascono insieme. Magari prima parte un motivetto. All'inizio arrivano sia la musica sia le parole, ma poi cambiano, mutano di continuo. Dipende poi da come le proponi, da come le fai.»
Hai suonato anche in Canada e in Norvegia. Com'è stato suonare in questi paesi e qual è la differenza tra il loro pubblico e quello italiano?
«Lì notano una persona per quello che vale. Ti ascoltano per quello che sei. In Italia ci sono tanti grandi musicisti eppure non sono valorizzati.»