Recensione
Nel 1881 venne pubblicato in Russia un testo anonimo intitolato Resoconto sincero di un pellegrino al suo padre spirituale. Il protagonista del racconto, un anonimo pellegrino ortodosso, narra di come sia rimasto colpito dall’esortazione di San Paolo ai Tessalonicesi a “pregare incessantemente”, e di come abbia preso alla lettera l’insegnamento dell’apostolo di Cristo, tanto da ripetere continuamente - seguendo il ritmo del respiro - la preghiera “Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”.
E voi direte: sì vabbè, ma che c’entra con Sorrentino?
Ecco, ci arrivo. Ora attenzione, da qui in avanti saranno presenti diversi spoiler. Se non volete rovinarvi la visione delle prime due puntate interrompete la lettura - e semmai riparliamone successivamente.
Dicevo, Sorrentino.
- Jude Law, in abito talare, siede con tre cardinali a un tavolo da poker. Nella mano destra tiene due Re, nella sinistra un bicchiere di quello che potrebbe essere whisky.
- Jude Law, candido, in un vestito bianco, esce sgomitando da una montagna di bambini accatastati l’uno sull’altro.
- Jude Law entra in una stanza spartana, dotata di un letto, un comodino e una scrivania su cui è poggiato un Mac. Si siede alla scrivania, si sfila il collarino bianco, apre il PC, va su Facebook, sfoglia la Home.
Solo una delle precedenti immagini è realmente la scena iniziale di The Young Pope, la prima serie scritta e diretta dal pluripremiato regista Paolo Sorrentino, autore di alcuni dei più bei film italiani degli ultimi anni - ma questa è la mia opinione, siete liberi di dissentire. Solo una è quella vera, ma tutte e tre sono verosimili; il Pontefice pensato dal regista campano è tranquillamente immaginabile in tutte e tre le situazioni descritte.
La serie targata Sky Atlantic porta infatti sullo schermo un Papa giovane ma rigido, ironico ma severo, riformista ma conservatore, saccente e autoritario. È un Papa che il collegio cardinalizio fa eleggere credendo di aver trovato una marionetta governabile, ma che ben presto mostrerà il suo lato più ribelle. Jude Law, alias Lenny Belardo, alias Pio XIII, è il primo Pontefice italoamericano della storia, una figura controversa, non convenzionale. Nel momento in cui viene eletto chiama al suo cospetto Suor Mary (Diane Keaton), colei che l’ha accolto in orfanotrofio quando era ancora giovane e l’ha portato con successo verso il pontificato. Madre spirituale del giovane Lenny, si ritroverà diversi anni dopo a essere gli occhi e le orecchie del Pontefice stesso, vista anche la mania di controllo che porta il Papa prima a voler sapere tutti i movimenti del segretario di stato - il cardinal Voiello (Silvio Orlando) - e poi addirittura a promettere il vestito purpureo al confessore del Vaticano (Don Tommaso - Marcello Romolo) in cambio della rivelazione dei segreti confessionali di tutti i cardinali.
Il personaggio interpretato da Jude Law è ricco di contraddizioni. Fuma sigarette all’interno delle stanze vaticane, benché Giovanni Paolo II l’abbia vietato - gli ricorda Voiello – ma non permette agli altri di farlo, proprio in virtù del divieto. È un Papa che accetta che si infrangano le regole solo quando è lui a farlo, mentre gli altri sono tenuti a rispettare il suo volere, che però è volubile, e muta a seconda delle situazioni. Lenny Belardo cerca continuamente lo scontro con il prossimo, in ottica dialettica di affermazione di se stesso; i litigi e i dibattimenti verbali sono pretestuosi, servono solo a ricordare chi è il Papa tra gli interlocutori.
Sebbene dalle prime battute ci si aspetti un Papa innovatore, rivoluzionario, vizioso, maligno, peccatore, andando avanti ci si rende conto che la figura di Pio XIII è tutt’altro. Quando il cardinal Voiello chiede al suo consigliere Padre Martucci (Gianluca Guidi) se il Papa ha un orientamento sessuale, questo gli risponde che non ne ha, “gli piace soltanto la Chiesa”. È un Pontefice che non vuole stare sotto la luce dei riflettori, che non aspira a diventare una figura ‘pop’, ma preferisce rimanere nell’ombra. Pur essendo stato eletto da diversi giorni non è ancora apparso al pubblico, un po’ come il Papa morettiano interpretato da Michel Piccoli. In quel caso però il Pontefice mostrava un conflitto interiore con se stesso, si chiedeva se fosse capace di essere una buona guida. Il Papa sorrentiniano sa invece di essere un buon Papa, ma non crede che il mondo sia meritevole di avere una guida di tale livello. Quando finalmente deciderà di mostrarsi - di notte, in penombra, senza alcuna luce ad illuminarne il volto - accuserà i fedeli presenti in Piazza San Pietro di essersi dimenticati di Dio. Un’accusa pesante che provocherà il mormorio della piazza e che scatenerà un vero e proprio boato - anche climatico, con un temporale provvidenziale - quando dirà di non voler mostrare il proprio volto ai fedeli, che a suo dire non lo meritano.
“Pensate a Dio ventiquattro ore al giorno”, grida Belardo dal balcone, ricordando in un certo modo gli insegnamenti del pellegrino ortodosso di cui parlavo all’inizio; “io sono più vicino a Dio di quanto sia vicino a voi; io non vi sarà mai vicino”. Scordatevi dunque del Papa, della sua persona, affinché possa maturare in lui la convinzione di essere il più importante di sempre, come lo sono stati - nei rispettivi campi - Salinger, Kubrick, Banksy, i Daft Punk e Mina, tutti artisti che hanno fatto dell’invisibilità la chiave del successo.
Invisibilità che invece non sembra essere inseguita dal regista, di cui si intravedono lucidamente i paradossi fondanti la sua opera, il surrealismo insito. Di Sorrentino si capta la presenza in ogni scena, in ogni dialogo, in ogni ripresa. Si avverte nel montaggio, nella scelta musicale, nelle luci.
Rendersi invisibili, quindi, per guadagnare l’eternità?
A Sorrentino non interessa. Preferisce rimanere visibile, tanto siede già alla destra del padre. Anzi dei padri: Fellini e Pasolini.
“Siete in grado di dimostrarmi che Dio non esiste?” grida Belardo, “Se non siete in grado di dimostrarmelo allora significa che Dio esiste. Dio esiste, e non si occupa di noi fino a che noi non ci occuperemo di lui”.
Dio esiste, dunque. E Sorrentino anche.
Colonna sonora
Era una di quelle magnifiche giornate primaverili: il sole splendeva alto e il cielo azzurro sembrava riuscir a riverberare tutti quei colori che la primavera porta con sé. Il mio volo da Milano era appena atterrato a Roma, quando ad un tratto con la testa appoggiata al finestrino della navetta che ci avrebbe portati al terminal pensai:
“Oh, cazzo, questa è la più grande operazione di marketing degli ultimi venti anni”.
Ehi tranquilli, ero ancora in me, avevo, banalmente, appena visto il Papa. Stava scendendo le scale del suo aereo privato con una valigetta di pelle in mano e sembrava essere di ritorno da un meeting in uno di quegli studi legali newyorkesi situati sulla 5th Avenue.
Calmi, calma, è il Papa, Papa Francesco, non è Harvey Specter, non è quel cinico spietato, atemporale, amante della vita mondana, armonico e glorioso, riformista e conservatore che ti farebbe credere qualsiasi cosa, non è il Papa Giovane.
Il Papa Giovane è tutto questo e molto di più, è una Rockstar drogata dei parametri tradizionalistici, è David Bowie in tutte le sue declinazioni, in tutte le sue contraddizioni e Sorrentino sa giocare sapientemente sull’equilibrio dei contrasti, soprattutto nelle scelte delle musiche e della fotografia.
Il Papa Giovane sfumacchia, non gli basta la Coca Cola, ma la pretende Zero e ascolta i Daft Punk. Date queste premesse mi sarei aspettata un’entrata di scena dal punto di vista musicale altrettanto irriverente: “Kavinskyano”, “Cassiusano”. Perché gli M83? Come ci ha palesato la produzione di Sollima, “Suburra”, nessuna unione è infatti più azzeccata di M83 e Vaticano, neanche Sandra e Raimondo.
In realtà l’esigente incarico relativo alla parte musicale è stato affidato a Lele Marchitellli, un nome ormai noto nel contesto cinematografico, autore di altre colonne sonore dello stesso Sorrentino, prima fra tutte la colonna sonora de “La Grande Bellezza”. Lele Marchitelli ci accompagna nelle atmosfere tanto magnificenti quanto cupe delle stanze vaticane con soluzioni elettroniche, minimaliste, ma non da solo. La produzione musicale di "The Young Pope" ha finora scelto accuratamente anche altri strumenti sonori per decodificare il mondo contraddittorio a cui ci sta introducendo, e per questo, nomi dell’elettronica come “Recondite”, “Isan”, “Labrador”, ci indicano il cammino più autentico per “sederci alla destra del Papa giovane”.
Ciò non toglie che un’ancora al tradizionalismo, al conservatorismo, al classicismo musicale sia stata buttata, ma d’altronde lo abbiamo abbondantemente ribadito: il Papa Giovane nel suo narcisismo dilatato da saccenza, rende le opposte categorie "anticonformista" e "tradizionalista" cedevoli e permeabili, così che soluzioni elettroniche sembrano poter serenamente coesistere con composizioni requiem.
Al di là del fatto che il secondo episodio inizi con una interpretazione magistrale dell’Ave Maria di Schubert di Cheryl Studer, è senza dubbio troppo presto per sbilanciarci con verdetti, anche solo intermedi.
C'è una cosa che possiamo fare: indossare la maschera dello spettatore intraprendente per ascoltare e seguire la playlist “The Young Pope Soundtrack" pubblicata su Spotify e curata della redazione, durante tutto il corso della serie. È certo che L'attenzione e la cura di Sorrentino nella scelta musicale seguirà l'evolversi del concept e prendendo questo come assioma possiamo fare un gioco: comunemente le due categorie che si prendono in considerazione per lo sviluppo di una storia sono film e libri, ma una colonna sonora in realtà può dirci tutto di un film, dunque, attenzione a non ascoltarla prima di aver visto gli episodi, oppure, ascoltiamola prima e usiamola poi per allenare immaginazione e la capacità critica nei confronti di altre forme di linguaggio nell'intento di anticipare l'evoluzione della storia. L'opera cinematografica è un'opera complessa e completa in cui scenografia, fotografia e musica si intersecano, sono uno il prolungamento dell'altro più o meno come pancetta, uovo e pecorino nella carbonara.
Daniele Rizzo
Martina Petrucci